DUE LIBRI, UNA PAGINA (16)

Letture di Fabio Brotto

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Suona cupo il titolo Varuna, che Jiulien Green ha dato a questo suo romanzo del 1936 (ho qui l'edizione TEADUE del 1996, con la traduzione nientemeno che di Camillo Sbarbaro, quella originale, credo per Longanesi -chi l'avrebbe mai detto!). La storia però fa respirare (si fa per dire) il lettore un po' più liberamente di quanto non avvenga solitamente con gli anossici libri di Green. Sarà forse perché l'atmosfera della prime delle tre storie che costituiscono l'intreccio è un po' favolosa: medioevo, misteriosi "uomini del mare" donatori di una simbolica catena, il diavolo… Ma nella sostanza Green è sempre Green, e quella catena che passa di mano in mano, inconsutile e viva, attraverso le ere e le generazioni, è l'emblema della colpevolezza umana, e della inesorabilità del destino. E' una catena che allude a quella delle rinascite dell'induismo, una catena i cui anelli sono i giri della volta stellata, il dio Varuna. Alla fine non si esce dalla sensazione di soffocamento, di chiusura, che tutte le opere di Green instillano: tutti gli anelli della catena sono perfettamente chiusi, non ce ne sono di mancanti, essa è indistruttibile.

 

 

Angelo, il protagonista baldanzoso e incosciente de L'ussaro sul tetto, Una pazza felicità, e Angelo, non è che un'ombra dell'Averno in Morte d'un personaggio (1949 - edito in Italia da Passigli Editori, Antella-Firenze 1996, trad. M.E. Della Casa). La morte qui non è la sua, ma quella della sua innamorata Pauline de Théus, la giovane donna indipendente e audace dell'Ussaro. La ritroviamo molto vecchia, ospite del nipote che si chiama anche lui Angelo, e che la accudisce teneramente fin nelle sue più misere necessità corporali, fino alla fine. Nulla la interessa nel mondo, dopo la fine del primo Angelo, il suo amore. Nessuna relazione umana le è autenticamente possibile, se non su di un piano epidermico, nel senso pieno del termine. Jean Giono compie in questo libro un'operazione temeraria: il personaggio Pauline secondo me doveva essere considerato letterariamente morto con l'Ussaro. Giono compie una vera e propria profanazione di cadavere, riprendendolo alla soglia della morte, mostrando anche i più miserandi particolari della condizione umana senile, in una vecchia che alla fine non può provvedere autonomamente neppure ai più elementari tra i bisogni. Difficile distinguere tra pietà e sadismo, tra necessità e gratuità di quest'opera gioniana. Dal canto mio, sono portato a pensare che qui si celebri il più raffinato e ambiguo sacrificio di una giovane eroina (che consiste nel metterla in scena vecchissima e moribonda) di tutta la storia della letteratura. Nei modi sottili di un lento avvelenamento del lettore. Chi però non si è fatto ingannare dall'appariscente vitalismo delle precedenti opere di Giono (ma certo non di tutte), ed ha contemplato l'abisso nichilistico ad esse sottostante, non è minimamente sorpreso da questa vecchiaia di Pauline.

20 aprile 2002