INTERVISTA a
EMANUELE CRIALESE
«Nel mio film
sogni e illusioni degli emigranti»
(English
version follows below)
L |
'America, come i suoi personaggi, Emanuele Crialese l'ha trovata con la nomination agli Oscar per il miglior film straniero. Rappresenterà l'Italia nella più importante kermesse del Cinema con il suo Nuovomondo (Golden Door) e a gennaio si saprà se riuscirà a finire nella cinquina dei candidati al premio finale. «Sono felice, intontito, non so cosa sta succedendo», ha commentato a caldo il regista.
Nuovomondo è un film sui sogni degli emigranti alla ricerca della terra promessa, commovente e magico, premiato a Venezia con il Leone d'Argento. Presentata lo scorso mese anche qui al Toronto Film Festival, la pellicola di Crialese verrà distribuita in Nordamerica: 3 gli acquirenti in corsa. Il regista di origine siciliana, che ha vissuto per una decina d'anni a New York e che ora sta pensando di trasferirsi a Buenos Aires, ha realizzato il suo primo film indipendente Once we were strangers negli States, selezionato al Sundance Festival, poi ha cominciato a lavorare sulla sceneggiatura di Nuovomondo che aveva messo da parte per mancanza di fondi e, nel frattempo, ha scritto e diretto Respiro interpretato da Valeria Golino e Vincenzo Amato (a Toronto nel 2002) che gli è valso il Premio Settimana della Critica a Cannes, acclamato in Francia e distribuito in più di 30 Paesi. È stato allora che l'Italia si è accorta di Emanuele Crialese, 41 anni, che già da tempo rincorreva il suo sogno di successo.
Nuovomondo è
un film sui sogni e le speranze o sui sogni e le illusioni?
«Sui sogni e le illusioni»
Perché un film sugli emigranti in cerca del nuovo
mondo?
«Tutto è nato dalla scoperta dei primi fotomontaggi di propaganda che arrivavano nelle campagne europee e che ritraevano galline, carote, polipi giganti. Quello che mi ha affascinato di più è stata la consapevolezza che già agli inizi del secolo mandavano messaggi dall'altra parte dell'oceano sotto forma di immagini. Una cosa senza precedenti, come se fossero messaggi spaziali. Erano come alieni in una terra promessa dove c'erano tutte cose più grandi e dove era più facile vivere. Questa è stata la mia immagine di riferimento per il film».
Passiamo quindi alle ricerche e ai test di intelligenza agli emigrati.
«Ho cominciato un lungo percorso di
documentazione. Sono stato a Ellis Island e mi hanno
colpito alcune foto esposte nel museo che raffiguravano uomini che stringevano
tra le mani da contadino delle strane figurine geometriche cercando di metterle
dentro degli spazi. Allora ho pensato: che cosa significavano questi puzzle? Ma questa non era l'isola della quarantena dove dovevano
accertarsi che nessuno avesse malattie contagiose? Ho fatto altre ricerche fino
ad arrivare alla verità e cioè che quei puzzle non
erano altro che test d'intelligenza. Per la prima volta nella storia
dell'umanità, alcuni uomini hanno cercato di misurare l'intelligenza e di
catalogare le attitudini di altri uomini».
«Era l'inizio dell'Industrializzazione
e molta gente decise di abbandonare l'Europa e l'agricoltura per trovare
lavoro. In quel periodo gli americani, che sono sempre stati grandi statisti
fedeli ai loro numeri, diffusero alcuni dati che terrorizzarono un po' tutta la
classe dirigente. In pratica dissero: questi immigranti si riproducono molto
più facilmente rispetto a noi, hanno molti più figli, se continuiamo ad
accoglierli tra una decina di anni il sangue straniero
(quello che chiamavano black drop) contaminerà la nostra razza e questa gente
diventerà più numerosa con il rischio di una rivoluzione sociale».
Quanta similitudine con la razza ariana.
«E arriviamo proprio
lì. Quello che è successo nella Germania nazista è la
continuazione delle ricerche che sono state fatte a Ellis Island. Il primo grande laboratorio di eugenetica è stato aperto nel 1902 a
New York e i primi soggetti studiati sono stati proprio gli immigrati. È in
quel laboratorio che cercavano la black drop che ha
portato alla sterilizzazione di 60mila persone con l'obiettivo di difendere la
razza bianca. A Ellis Island sono stati fatti i primi
studi sulla differenza delle razze per capire quali fossero più adattabili e
attraverso i test hanno avuto la presunzione di dire: attenzione, non ci
mettiamo nel nostro Paese persone imbecilli (a quei tempi l'imbecillità era un
termine scientificamente provato) perché si riprodurranno e daranno alla luce
altri deboli di mente. I problemi erano la contaminazione del sangue, ma anche
la paura che gli immigrati diventassero un peso per la società e passassero a carico dello Stato perché non avevano i mezzi
per sostentarsi. Secondo me non c'è mai stata fine a
questa cosa».
Vuoi dire che l'amministrazione Bush la pensa
ancora così, o che agisce contro gli immigrati?
«Beh, il Millennium Project ha obiettivi
molto precisi. Vogliono una predominante americana ed è per
questo che stanno chiudendo le porte del Paese. Vogliono isolarsi perché
ad un certo punto ci sarà una parte dell'umanità che dovrà assolutamente
sopravvivere a dispetto di un'altra. Ma lo sai che i maggiori finanziatori di
questo progetto eugenetico dall'inizio del secolo sono stati Rockefeller,
Keller, Carnegie e che il laboratorio di Cold Spring Harbor è ancora aperto e viene finanziato dagli attuali dirigenti americani? Comunque questa non è la storia del film perché ho deciso
deliberatamente di lasciarla fuori».
Una cosa molto interessante, sicuramente da
approfondire.
«Farò un documentario, ho
già la sceneggiatura. E così daremo un seguito a
queste ricerche che sono durate tre anni. In Nuovomondo ho scelto di
sacrificare tutta questa parte perché altrimenti non avrei dato spazio
all'umanità dei personaggi, c'è solo un piccolo accenno. Sono un sognatore e ho
preferito fare un film sulle emozioni e non sul sistema politico americano».
«Per molto tempo, poi a
un certo punto ho scelto la strada dell'evocazione. Questi emigranti partivano
e mandavano delle lettere alla famiglia nella vecchia Europa: lettere piene di
bugie perché in realtà facevano spesso una vita peggiore, ma non potevano per
nulla al mondo far credere il contrario e rinunciare al sogno americano, alla
terra promessa. Questa mentalità dell'emigrante che parte e racconta bugie
rispetto alla vita che fa, ma che è la propria convinzione, non è mai finita».
«Gli americani sono molto bravi a far passare
l'uomo bianco come l'eroe, il salvatore delle cause nonostante i disastri che
hanno commesso, dalla bomba atomica a tutte quelle guerre che ci sono state. Io
non credo nella cattiva fede del popolo americano, credo nella manipolazione
del governo statunitense che inculca ai propri cittadini la convinzione di
vivere in una terra perfetta che è diventata invece una prigione. Non si può
continuare a investire miliardi di dollari per dare
un'immagine positiva quando i mezzi di comunicazione hanno portato a galla la
verità. La reltà è che questo Paese si sta difendendo da nemici invisibili».
Interessante critica all'amministrazione
Bush, ma torniamo a Nuovomondo di Crialese e ai tuoi personaggi: anche tu sei
un emigrante.
«Sì, in un altro momento storico e con altre
possibilità economiche».
Quindi per scelta e non per bisogno.
«Non era un bisogno di sopravvivenza, era una
necessità di espressione. Nel mio Paese non riuscivo a
lavorare nel settore in cui avrei voluto e quindi sono partito per l'America,
ho imparato lì a fare cinema. Sono arrivato a New York nel 1992, la cosa più
straordinaria che mi è successa, e che credo succeda a tutti quelli che
lasciano la propria terra per andare in un posto dove non sanno bene cosa
troveranno, è stata la grandissima forza che ho scoperto dentro di me. Non parlavo la lingua, improvvisamente non avevo più alcun tipo
di sostegno familiare, culturale ma avevo un'idea di quello che volevo fare: è
stato come l'istinto dell'animale che entra nel nuovo territorio. I sensi si
acuiscono e in qualche modo riesci a fare subito tuo il territorio che stai
esplorando».
«È successo il sogno americano, il miracolo.
Sono arrivato a New York con 3 milioni: dovevo fare un corso di cinema di 3
mesi. Ho fatto alcuni cortometraggi e il mio professore mi ha presentato al
Consiglio Accademico che mi ha dato una Borsa di studio di 150mila dollari, per cui sono rimasto negli Stati Uniti per altri 3 anni per
completare l'Università. Il problema è stato alla fine: avevo 31 anni, dei
premi per i cortometraggi e sentivo già che potevo andare avanti, ma non avendo
un permesso di lavoro dovevo rientrare in Italia oppure cercare qualcosa in
nero. Nel frattempo ho scritto la mia prima sceneggiatura e mi sono messo a
fare il cameriere in un ristorante italiano sulla 46ma. Attraverso i clienti ho raccolto un po' di soldi per girare il mio primo film
indipendente Once we were strangers con Vincenzo Amato (costato $60mila e
distribuito anche in Francia ma non in Italia, ndr.). Poi è arrivato il
Sundance Film Festival e quindi l'inizio di una carriera. È la volta di
Hollywood e di Bob Chartoff (Chartoff-Winkler sono i produttori di Martin
Scorsese) che ha amato molto il film e ha chiesto dei miei progetti. Gli ho
parlato della storia di Ellis Island, Nuovomondo e mi
ha messo tra le mani un assegno di $5mila: per la prima volta, a 34 anni,
qualcuno mi ha pagato per il mio lavoro, cioè per scrivere sceneggiature. Ma il progetto era molto costoso sulla carta, gli americani
lo avevano valutato circa $25 milioni. Chartoff è tornato da me e mi ha detto:
ti garantisco di lasciarti la sceneggiatura che puoi scrivere con un altro già
conosciuto negli ambienti, purtroppo non riesco a
montare un progetto così grosso con il tuo nome. Ho ripreso il mio copione,
l'ho chiuso in una valigia e sono tornato in Italia. A Lampedusa ho scritto
Respiro. Quindi quello che sta accadendo oggi è un po'
un cerchio che si chiude».
Con Respiro sei riuscito a farti conoscere in Italia.
«Mi hanno conosciuto in Italia e soprattutto
in Francia dove il film è andato molto bene. Cosa che
per un regista italiano è difficile, immagina con un film in dialetto
siciliano. Io mi sono battuto perché anche Nuovomondo fosse in italiano e non
in inglese pur consapevole che avrebbe fruttato più capitali. E mantenendo il
film in italiano, senza grosse star, raccogliere tutti questi soldi è stato davvero difficile, soprattutto perché eravamo
indipendenti. Poi è subentrata Rai Cinema al 50%, anche per
questo è stata una gestazione molto lunga».
«È molto più reale, musicale. Secondo me il
dialetto ha una carica emotiva e poetica molto
superiore all'italiano, perché è una lingua antica, profonda. Il siciliano poi
mi ha sempre affascinato per cui l'ho usato sia in
Respiro che in questo film».
«All'inizio per motivi
tecnici, nel senso che costava tutto meno. Poi è diventata veramente una benedizione perché in Argentina ho
trovato quelle facce e quegli sguardi che volevo per Nuovomondo. Tutte le
comparse avevano vissuto quella storia, se non direttamente attraverso i nonni
e i padri. Avevo 100 comparse al giorno e conoscevo
tutti per nome. È stata una cosa bellissima, esaltante, che mi ha dato una grande forza. Spesso si commuovevano
durante le riprese e sono state proprio queste comparse ad aiutarmi a capire
che stavo sulla strada giusta».
Raccontami un particolare toccante durante le
riprese.
«Nel film c'è una scena con una anziana in primo piano mentre ascolta alcune donne che
cantano e suonano i tamburelli. Filomena, questo il suo nome, aveva 4 anni
quando ha fatto il viaggio per il Sudamerica con la mamma e il papà. Come nel film: il padre nel dormitoio degli uomini, la madre in
quello delle donne. A metà del viaggio non riuscirono più a trovare il
padre. Lo cercarono e lo aspettarono a lungo, inutilmente. Con molta
probabilità morì durante una lite e lo buttarono fuoribordo. Sua madre per la
disperazione si strappò i capelli ed arrivò completamente calva al porto di
Buenos Aires. Quel giorno, mentre filmavamo, Filomena ha avuto una crisi ed è
scoppiata a piangere. Un pianto ininterrotto, poi pian piano ci ha raccontato
questa storia. Ecco, quello è stato sicuramente il momento più emozionante per
me. Anche perché Filomena - che era una persona molto riservata e che non ha
mai perso un giorno di riprese, ha addirittura fatto le scene della pioggia e
della tempesta - era una presenza fissa che ci ipnotizzava
perché in qualche modo ci faceva capire che quel ruolo in realtà era per lei un
qualcosa che voleva a tutti i costi rivivere e che forse è riuscita a
esorcizzare proprio con quel pianto senza fine».
Leone d'Argento "rivelazione" a
Venezia: perché hai parlato di premio inventato?
«Per cercare di gettare un po' di acqua sul fuoco delle polemiche. Il passaggio ai Festival
o a una Mostra sono già un premio perché ti danno la
possibilità di farti conoscere. Siccome ogni anno, a Cannes o a Venezia, c'è la
polemica a me non andava di essere la vittima
predestinata, quindi ho buttato là questa frase per commentare positivamente la
decisione di dare due Leoni d'Argento. Mi hanno dato un premio che io penso di
aver meritato e che fa onore a me e al film».
«Non me l'aspettavo perché ero convinto che
il mio film fosse il migliore. Ma me l'avevano fatto pensare la grande reazione del pubblico, quella della critica e della
giuria e alla fine i titoli sui giornali. Ci sono state diverse voci che davano
il mio film per il Leone d'Oro fino a giovedì sera, venerdì non avevamo più premi, venerdì sera forse Coppa Volpi e sabato
mattina l'invenzione del Leone d'Argento. Quindi è chiaro che c'è stato qualcosa di strano, ma siccome non sapremo mai cosa
è successo a me sta bene così, sono stato molto felice».
Io penso che la soddisfazione più grande è
quando un pubblico si alza e batte le mani per più di 15 minuti.
«Sì, è stato il momento più bello».
«Ti confesso che mi veniva da piangere. Sai, questo
film è stata una grande fatica per me e quindi ho
avuto un calo di tensione. Poi mi è piaciuto vedere la gioia sui volti dei miei
attori che erano superorgogliosi. Vederli così contenti è stato bellissimo».
Progetti futuri?
«Black Drop, che diventerà un documentario
che voglio dirigere con Angelo Loi perché, come ti ho accennato, voglio dare un
senso a tutte le ricerche fatte per Nuovomondo. Poi
non lo so, non ho progetti. Voglio prendermi un po' di
tempo anche perché altrimenti uno racconta sempre le stesse storie. Non sono un
regista di carriera, nel senso che non voglio fare un
film a tutti i costi. Ho tante idee, voglio prendermi un annetto
per capire che voglio fare».
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(English
Version)
INTERVIEW with EMANUELE CRIALESE
The emigrant
dreams of Crialese
L |
ike his characters, Emanuele Crialese 'found America' with his
nomination for an Academy Award for Best Foreign Film. His Nuovomondo
(Golden Door) will represent Italian cinema in the world's most prestigious
venue, and in January he will find out whether he will have made it to the final five shortlist. "I'm happy, I'm amazed, I
don't know what's going on," commented the director when he was given the
news.
Nuovomondo, a moving and magical
movie on the dreams of emigrants on a quest for a promised land, won a Silver
Lion at the Venice Film Festival. Screened last month at the Toronto International Film Festival, Crialese's film will be distributed in
Is Nuovomondo a film about dreams
and hopes, or mirages and false hopes?
"On mirages
and false hopes."
"Everything started with the early
propaganda posters that reached the European countryside depicting giant
chicken, carrots, squids. What fascinated me most was the fact that even
in the early 1900s there were messages across the ocean in the guise of images.
Unprecedented; akin to a message from space! Those were extraterrestrials, in a
promised land where everything was bigger and life was easier. This idea was my
reference for this film."
Let's talk
about research and intelligence tests administered to immigrants.
"I
started on a long path of documentation. I went to
Did you
wonder why?
"Industrialization
was taking off, and many people decided to leave
Sounds very similar to 'Aryan race' theories.
"That's
where it all ended. What happened in Nazi Germany was a continuation of the research
carried out at
Do you
mean that the Bush administration continues to think these sort
of things, or that it takes action against immigrants?
"Well,
the Millennium Project has very specific goals. They want to keep the
A very
interesting issue, certainly worthy of further discussion.
"I
will make a documentary; I already have the script. It will present the results
of three years of research. In Nuovomondo I decided to sacrifice this part in favour of the human interest in the characters; there is
only a small mention. I'm a dreamer, and I preferred to make a movie on
emotions rather than the political system of the
So you
worked on a two-pronged approach?
"For
a long time, yes; then I chose the path of evocation. These emigrants left and
then wrote home. Those letters to the relatives were full of lies: they often
ended up living worse than before, but they could never, ever dispel the
American dream, the promised land. This mindset of
someone emigrating and then telling lies on his life, even to himself, is still
around."
What do
you mean?
"Americans
are very good at painting themselves as heroes and rescuers of any worthy cause
despite the disasters they've caused, from the A-bomb to many wars. I don't
think that the American people are in bad faith, I
think that their Government manipulates them, convincing them that they live in
a perfect land instead of the prison it has become. One cannot go on investing
billions of dollars to give a positive spin to things when the media have
already brought out the truth. Fact is, this country
is defending itself from invisible enemies."
An
interesting criticism of the Bush administration, but let's return to
Nuovomondo and its characters: you, too, emigrated.
"Yes, but at a different time and with different financial
means."
Out of choice, then, rather than need.
"Not
the need to survive, but the need to express myself. In my native country I
couldn't work in the industry I wanted, so I left for the
What
happened?
"The American dream; the miracle. I had arrived in
With Respiro you managed to make a name for yourself in
"People
began to know me, in
Why did
you choose to use Sicilian?
"Because it's much more real, musical. In my
opinion, dialect has an emotional and poetic charge much higher than Italian,
as it is an ancient, deep tongue. Sicilian has always fascinated me, and that's
why I used it for Respiro as well as here."
And why
"At
first for technical reasons, meaning, everything was cheaper. Then it turned
out to be a blessing, because in
Tell us a
touching detail of the shootings.
"In
the movie there is a scene with an old woman shown in close-up while listening
to other women singing and playing tambourines. Filomena
- that's her name - was 4 years old when she left for South America with her
mum and dad. Like in the movie: her father slept in the men's cabin, her mother
in the women's cabin. Halfway through the trip, her father disappeared. They
searched for him and waited for him long and fruitlessly. Most likely, he was
killed in a fight and thrown overboard. In desperation, her mother pulled her
hair out; she arrived in
In
"To
try and throw some water on the flames of controversy. Going to a Festival is
an award in itself, because it gives you an opportunity to get publicity. Since
every year in
Were you
expecting an award?
"I
hadn't been expecting it out of a conviction that my movie was the best. But
there was such a great reaction of the audience, the critics, the jury... even media coverage. There were rumours that my film would get the Golden Lion going around
until Thursday night; on Friday we were out of the race; by Friday night maybe
we would get the Volpi Cup; and Saturday morning a
second Silver Lion was invented. Clearly, something funny must have happened,
but since we shall never know what exactly went on, I'm happy as it is, I was
overjoyed."
Maybe the
greatest satisfaction is getting a 15-minute standing ovation from the
audience.
"Indeed,
that was the most beautiful moment."
How did
you feel?
"I
felt like crying. You know, this film was very hard work for me, so I let go of
all the tension. I also loved watching the joy on the faces of my actors, who
were extremely proud. It was beautiful."
Any future project?
"Black
Drop, a documentary that I will direct with Angelo Loi;
as I told you already, I want to present the results of the research I
conducted for this movie. After that, I don't know yet. I want some time out;
without it, one ends up always telling the same stories. I'm not a career
director: I don't want to make movies at any cost. I've got lots of ideas; I
want to take a year or so to assess my intentions."
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* Paola Bernardini è Capo Redattore
del Corriere Canadese di Toronto, nella cui edizione
dell’8/10/06 è stata pubblicata l’intervista sopra riprodotta per
gentile concessione. La versione inglese
è apparsa lo stesso giorno su Tandem dello stesso gruppo editoriale del
Corriere.
1 dicembre
2006
LETTERATURA CANADESE E ALTRE
CULTURE