DUE LIBRI,
UNA PAGINA (106)
Letture di
Fabio Brotto
Quel che mi piace in Roberto Michilli, e avevo già apprezzato in Desideri (vedi), è la maturità disincantata del suo sguardo sul mondo, e il controllo della scrittura che rivela una profonda assimilazione della lettura dei classici. Qualcosa di simile a quello che trovo nel grande e misconosciuto Alessandro Spina.
Il breve ma
intenso romanzo Fate il vostro gioco,
che nel titolo evoca subito la figura del croupier e il casinó
con tutto ciò che portano con sé nella letteratura occidentale degli ultimi due
secoli, è anzitutto un’esercitazione di scrittura come una variazione musicale
sul tema, in secondo luogo un libro di agevole lettura che ti prende nella
voglia di sapere come andrà a finire la vicenda, ma infine è anche una
espansione della tematica del desiderio già sviluppata appunto in Desideri.
La struttura è
semplice. Durante un viaggio in treno un uomo narra ad
un altro viaggiatore, che non parla mai, la sua vita, dominata prima da una
passione distruttiva per il gioco d’azzardo, e poi, dopo una apparente
conversione che porta l’uomo ad esercitare la professione di “avversario del
giocatore” ovvero di croupier, dominata da un altro desiderio assoluto, quello
di trovare un sistema scientifico per vincere alla roulette. Un
sistema scientifico per individuare i numeri che usciranno, non un marchingegno
truffaldino. Per raggiungere questo obiettivo,
egli impiega tutte le sue risorse monetarie, fisiche e mentali, servendosi
dell’informatica nascente, e dei primi PC (siamo intorno al 1980). La bravura
di Michilli sta nel trasformare le
elucubrazioni matematico-statistiche e i problemi di programmazione del
computer in una vicenda appassionante. Ma quello che a me interessa, è come,
sempre, il risvolto antropologico. Il desiderio
illimitato si rivela in realtà senza oggetto. Il protagonista che in gioventù
ha sperperato nel gioco un ingente patrimonio, non muta radicalmente l’oggetto
del suo desiderare, che rimane fondamentalmente vuoto. Il guadagno di milioni
che gli potrebbe consentire la sua scoperta non è
finalizzato a nulla di reale, e la soddisfazione di battere il meccanismo del
casinò, il Sistema, è in sé cosa misera e vuota. In questo senso, anche il
protagonista di Fate il vostro gioco si
rivela essere un uomo vuoto, ed è in ciò eminentemente novecentesco,
mentre l’associazione dell’informatica al mondo del gioco d’azzardo si pone
come una metafora del nostro destino.
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A chi desideri
leggere un libro che gli dia un saggio della teologia accademica italiana di oggi, dei suoi contenuti medi e del suo stile, consiglio Un
cristianesimo possibile di Carmelo Dotolo.
Sottotitolo: Tra postmodernità e ricerca religiosa (Queriniana 2007). Quattrocento pagine in teologichese, nelle quali c’è di tutto.
Soprattutto c’è dentro una messe di note e di citazioni, che insieme
costituiscono quasi due terzi del testo. Dotolo dà
prova di grande erudizione, ma da bravo teologo
ufficiale e clericale mostra una originalità di pensiero prossima allo zero, e
una grande simpatia per formule fisse, quali la ricorrente “memoria rischiosa
di Cristo”, la cui rischiosità il lettore fa fatica a mettere in relazione
con la vita di un teologo accademico.
Come accade
nella teologia accademica, nessun tema è affrontato con un pensiero libero e
radicale, e per di più anche la tematica del sacro
quando è toccata lo è senza il minimo riferimento al pensiero più forte degli
ultimi decenni, che è quello di René Girard: un peccato ai miei occhi
assolutamente imperdonabile. Leggendo libri come questo tu capisci anche come
possa avere tanto successo l’opera di Vito Mancuso, che al di là di ogni considerazione critica ha il
merito di affrontare davvero i problemi.
Nei
gesti di liberazione dal male, nella figura della comunione indiscriminata con
gli esclusi, gli ultimi, nella rottura con schemi religiosi e legalistíci di interpretazione
della fede in Dio, la santità di Gesù si costituisce paradigma di una
differente concezione dell’esperienza credente, capace di ricreare l’identità
dell’uomo nella forza dell’agàpē. Ne consegue,
come mostra il Nuovo Testamento, una trasformazione del sacro nel santo. Più
precisamente, la metamorfosi del sacro non consiste nel passaggio dal sacro al santo, dal mistero tremendo e affascinante alla
purezza etica, quanto nello spostamento decisivo verso una radicale
personalizzazione della relazione fra il divino e l’uomo (p. 206). E
sul sacro non si va al di là di questo.
Aggiungo
un’altra considerazione. A mio parere oggi la questione prima della teologia è
quella della sofferenza di Dio, un’idea che in molti teologi compare,
senza però che il pensiero sia portato fino in fondo.
Il tema della sofferenza di Dio (non del solo figlio in quanto uomo) è infatti legato alla questione del rapporto di Dio al tempo,
e infine della assolutezza di Dio stesso e della sua eternità. Pensare ad un
Assoluto sofferente infatti è impossibile, anche
perché la sofferenza non si dà se non nello spazio e nel tempo. E qui si apre uno di quelli che io definisco buchi neri
teologici. (cfr p. 254)