DUE LIBRI,
UNA PAGINA (113)
Letture di
Fabio Brotto
Vita e
destino (trad. it. di C. Zonghetti, Adelphi 2008) è
del 1960, ma Vasilij Grossman
non vide mai la pubblicazione del suo capolavoro, perché la polizia politica
sovietica lo sequestrò. Mi viene da chiedermi quanti libri di grande valore siano abortiti, per così dire, nelle grandi
società totalitarie, non avendo la fortuna postuma di questo. E questo è un
romanzo per cui è difficile trovare aggettivi, tanto
è, in tutti i sensi, grande. Forse l’aggettivo che più gli si addice è poderoso.
L’hanno chiamato il Guerra e pace del XX
secolo, ed è così per vari motivi. È fortemente russo
e nello stesso tempo universale; è immenso e ricchissimo di personaggi, e
questi hanno una vita intensa anche quando appaiono per qualche riga, come
avviene in Tolstoij; la guerra vi è dipinta nella sua
verità, come orrore e come fascino, come annientamento e come riscatto. E vi sono tutti i problemi fondamentali del secolo XX, in
primis quello del rapporto tra l’individuo e lo Stato.
Lo Stato
qui è quello sovietico del 1942, in cui la piramide
del potere ha al suo vertice Stalin e in cui la delazione è sempre in agguato,
con conseguenze funeste anche per i comunisti più convinti ed ortodossi, cui
può capitare di perdere all’improvviso posizione e onore ed essere accusati di
collusione col nemico, di antisovietismo, di
deviazionismo ecc. ecc. Un incubo continuo. Ma nonostante la mostruosità del
potere sovietico la lotta contro l’invasore nazista è
sacrosanta. La capacità di distinguere e di problematizzare di Grossman è immensa, e costituisce una lezione anche dal
punto di vista storico. La ricchezza di scene è
straordinaria. Appaiono anche Hitler e Stalin in momenti di raccoglimento
personale che ne fanno emergere la verità. Ci sono sovietici di varia
nazionalità e tedeschi, anche nazisti convinti, mai però ridotti a macchiette,
e sempre investigati a fondo nelle loro motivazioni e condizionamenti, e si
vivono momenti atroci nelle camere a gas ove un intero popolo è distrutto.
Eppure, la grandezza dell’arte di Grossman è tale che
nel libro non appare alcuna forma di risentimento, e l’umano vi è colto con lo
sguardo cristallino di colui che sa cogliere le verità
fondamentali. E l’animo umano vi è indagato fin nelle
pieghe più riposte. Esemplare in questo senso la vicenda di uno dei personaggi
principali, il fisico nucleare ebreo sovietico Strum,
la cui teoria ad un certo punto viene accusata di
idealismo dai colleghi e dal partito, e che decide di mantenersi coerente e
libero a costo di finire in Siberia, ma dopo una telefonata personale di Stalin
che lo appoggia e gli consente di riprendere il lavoro, si inebria a tal punto
del sostegno del dittatore da firmare una lettera che accusa degli innocenti, autogiustificandosi pur nel tormento e perdendo la felicità
e la pace interiore appena riacquistate. Come a dire che per la libertà
dell’anima l’appoggio del Potere è più pericoloso della sua inimicizia.
Grande e
virile è la pietà di Grossman per tutti gli uomini,
ma non è una pietà che rinuncia al giudizio. Come scrive verso la fine del
romanzo:
Deboli sono i giusti e deboli i peccatori. La differenza è che, compiuta un’opera buona, un uomo meschino se ne vanta in eterno, mentre il giusto non si accorge nemmeno delle sue buone azioni, ma ricorda in eterno un peccato che ha commesso. (p. 799)
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Da Nasser a Sadat. Questo libro di Gennaro Gervasio (Jouvence 2007) reca come sottotitolo Il dissenso laico
in Egitto. In realtà, il libro, che è un testo accademico per rigore e
documentazione – ma anche per natura, derivando da una tesi di dottorato- si occupa
dell’opposizione marxista nel periodo indicato dal titolo, ma in sostanza
nell’intero Novecento.
È la storia del fallimento dei comunisti egiziani e di tutta la sinistra marxista , determinato da una complessità di fattori, fra i quali il più rilevante è senz’altro l’intellettualismo della sinistra stessa, la sua incapacità di cogliere le tendenze profonde del popolo e delle masse contadine in particolare. Qualcosa che, pur nelle differenze, non è privo di legami con quanto è avvenuto in Italia. Il frazionismo della sinistra, il suo eterno perseguire le analisi corrette che dovrebbero garantire il successo e si scontrano con altre analisi corrette in una lotta senza fine. Mentre nelle viscere della società egiziana cresce l’islamismo, e alla fine espelle la sinistra dagli unici luoghi in cui aveva una specie di egemonia, ovvero le università. Questo non è un libro militante, nonostante la profonda empatia con l’Egitto e la sua cultura, e non è nemmeno un libro ostile al marxismo. È un testo rigoroso e scientifico, che proprio per questo, nella sua estrema sobrietà, fa pensare e riflettere.
12 luglio 2009