DUE LIBRI,
UNA PAGINA (71)
Letture di
Fabio Brotto
Educazione alla morte
(sottotitolo: Come si crea un nazista)
è il titolo di un libretto di Gregor Ziemer (Education for Death. The Making of the Nazi, 1941, ed. italiana a cura di B. Maida, Città
Aperta, Troina 2006). L'argomento è
l'educazione mediante la quale i giovani tedeschi durante il regime nazista venivano condotti, fin da bambini, al desiderio di
sacrificare la propria vita (e quella di altri) per Hitler e per la Germania.
Si dovrebbe leggerlo per non sentirsi tanto diversi dai ragazzi che in
Palestina o in Iran o in qualche altro paese islamico sono
allevati nell'odio e nel desiderio di vendetta e distruzione. Per non
meravigliarsi dei kamikaze che annientano le loro giovani
vite per l'ideale islamista. Anche l'Occidente, non molto tempo fa, ha
conosciuto dinamiche simili. Ecco un passo del libro
di Ziemer in cui l'autore va a visitare un ragazzino
nazista malato, che brama di morire per Hitler.
Sì i ragazzi di Hitler sono pronti a morire per lui. Ne ebbi un'altra prova inconfutabile allorché il nostro vecchio amico di famiglia, il dottor Schroeder, mi invitò ad accompagnarlo per una visita professionale.
«Pensavo che vi sarebbe interessato vedere quel che Hitler e la sua filosofia hanno fatto ad un fanciullo tedesco», mormorò nel segreto della sua vettura, mentre stavamo serpeggiando attraverso il traffico della Wilmersdorferstrasse.
Trovammo il nostro indirizzo: una donna sulla quarantina, allampanata e grigia anzitempo, ci aprì la porta. Le stanze erano poveramente arredate; l'ornamento più in vista era un ritratto di Hitler. La donna ci condusse nella camera da letto.
«Ecco il mio piccolo paziente», Schroeder mi sussurrò all'orecchio. «Nove anni, una polmonite».
Su una branda giaceva la forma irrequieta di un ragazzo dalla faccia magrissima. Il dottore gli prese la mano per tastare il polso. Il ragazzo gliela strappò via con violenza, la lanciò in alto e gridò con voce delirante: «Heil Hitler!».
Guardai la mamma. «Se soltanto non l'avessero fatto marciare», disse rocamente. «Sapevano che non stava bene. Ma hanno voluto che marciasse lo stesso. Ci vogliono giorni per arrivare alla Leuchtenburg - è vicino a Kahla, in Turingia - per la promozione all'Avanguardia. Suo babbo è nelle guardie d'assalto. Ha detto che il ragazzo doveva andare. Non voleva un debole per figlio. E ora...»
Dalla branda venivano parole... parole stridenti, penetranti. «Lasciatemi morire per Hitler! Debbo morire per Hitler!». Ancora e ancora, implorando, accusando, scongiurando, lottando contro la vita, lottando contro il dottore, lottando per morire.
«Glielo hanno detto alla cerimonia che doveva morire per Hitler», continuò la povera mamma. «Ed è così giovane...».
Si accasciò, singhiozzando. Guardai di nuovo il ragazzo. La sua faccia estatica portava l'espressione di un martire cristiano morente per il Redentore. Il braccio destro era proteso in alto, rigido, come stecchito. Le labbra continuavano a formare le parole che l'anima ardente suggeriva irresistibilmente:
«Debbo morire per Hitler!».
Il dottor Schroeder si chinò sopra il suo paziente e gli fece un'altra iniezione. Le grida divennero gemiti, poi cessarono.
«Suo babbo dice che se muore, allora muore per Hitler», la mamma mormorò con una voce senza suono.
«Vedete ora quel che intendevo dire?», domandò il dottor Schroeder quando fummo di nuovo nell'automobile. «II ragazzo vuole morire. Che cos'è questa dottrina, capace di pervertire persino gli istinti? » (pp. 88-89)
* * * * * * *
Vi è una scena altamente drammatica e
narrativamente splendida nel romanzo dell’iraniano Mohsen
Makhmalbaf Il
giardino di cristallo (Le jardin de cristal, 1982,
trad. it. di A. Cristofori, Bompiani, Milano 2003): quando un gruppo familiare penetra
di notte in un cimitero, con la complicità di un becchino, per esumare il
cadavere di quello che sperano possa non essere il giovane Akbar,
dato per caduto martire nella guerra Iran-Iraq un anno prima. La famiglia spera in uno scambio
di persona fortuito, e di poter verificare che il morto sia un altro, e poter
pensare che il congiunto si trovi prigioniero in Iraq. Il cadavere è nella
terra da un anno, e loro pensano di identificarlo misurandolo. La scena è
toccante e atroce. Spera e teme nello stesso tempo, la famiglia, perché il
padre di Akbar ha nel
frattempo convinto l’altro suo figlio Ahmad a
sposarne la vedova. Così Ahmad è marito della cognata
e padre-zio di due bambini. E per sposare la cognata
ha dovuto rompere il suo fidanzamento con una ragazza che gli piaceva. Qui, e
in altri luoghi del romanzo si vede come il matrimonio e la famiglia non siano
anzitutto una questione di innamoramento, come pensano
gli Occidentali moderni. La famiglia è una istituzione
sociale, eros è libero e pazzo. Questa iraniana del 1981 è poi una società
nella quale la rivoluzione islamica ha segregato le donne tra loro, vietando
ogni rapporto pubblico tra donne e uomini. Tuttavia è
facile notare come fenomeni mimetici quali il competere in bellezza e il seguire
la moda penetrino anche la dura scorza dell’islamismo komeinista.
Nel passo che qui riporto Layeh,
una delle protagoniste femminili, si trova, non contenta, ad una festa,
ovviamente di sole donne.
"Si dice che le donne devono prepararsi per
il marito, perché in paradiso le aspettano mille camere con mille letti..."
E senza dubbio mille
parrucchiere, pensò Layeh. Tutte quelle donne
agghindate le une per le altre. Fierezza. Dopo tutto,
bisognava pure che qualcuno approfittasse delle bellezze che Dio aveva distribuito: ne ho
abbastanza di questo velo! Vicine, donne, sorelle mie, guardate! Nella sala del ricevimento
si dispiegava una festa di colori e di volti truccati. Da una parte, un abito con il
collo scarlatto segnato da un collier di perle rivaleggiava con un velo ornato di monete d'oro. Dall'altra, due
cuffie verdi in competizione, di cui una
lasciava sfuggire delle ciocche a tirabaci:
"Dio
mi ha fatto più bella!"
"No,
sono più bella io! "
Layeh sapeva che occhi
indiscreti si tenevano appostati; occhi e lingue che avrebbero riportato il
minimo dettaglio alle
orecchie profane del loro marito. Dal giorno dopo si sarebbe diffuso il racconto dettagliato della serata:
"Dovevi vedere
la veste che aveva la moglie di Untel.
Per
Dio, e sì che è una credente! Suo marito è ancora più severo di te, ma ti
assicuro che sua moglie era vestita così! (p. 62)
28 maggio 2006