DUE LIBRI,
UNA PAGINA (73)
Letture di
Fabio Brotto
Un riferimento a Virgilio e a Dante nel titolo di questo libro di
racconti di Ernesto Aloia, Sacra fame dell’oro (Edizioni minimum
fax, Roma 2006). Quattro racconti duri, spietati, di moralità forte e non
appariscente. La scrittura di Aloia
è rigorosa, e priva di compiacimenti letterari. Se in genere gli scrittori
italiani contemporanei vengono accusati di occuparsi
poco della realtà (di quella economico-politico-sociale,
s’intende), si deve dire che Aloia si sottrae
all’accusa. Si legga quel che dichiara Serra, un personaggio del racconto paradigmatico Le locuste:
"Ascolta. Così capisci chi è pazzo e chi no. Così ti rendi conto. Un tizio che conosco, un commercialista, ha mollato lo studio e si è messo a fare televendite. Uno dei tanti. Vende il sale benedetto del Giordano a duemila euro al chilo. La gente fa un versamento su un conto corrente e riceve a casa il barattolo, e sono persone che sanno che il Giordano è un fiume, un corso d'acqua dolce, eppure allo stesso tempo credono che in qualche modo miracoloso il sale spunti fuori, e che guarisca le malattie perché ha trattenuto in sé, per duemila anni, il potere di Giovanni Battista. A chi fa obiezioni razionalistiche il commercialista sai cosa dice? Che le scorie nucleari vengono seppellite nelle vecchie miniere di sale perché il sale ha il potere di trattenere l'energia, quella fisica dell'uranio e quella spirituale del Battista. Ricevono il sale, lo sciolgono nella vasca da bagno e si immergono, e naturalmente non succede niente. Chi è malato rimane malato. Allora telefonano al commercialista, e lui ammette di essersi sbagliato, che forse il sale del Giordano era una soluzione troppo blanda. Gli offre un'alternativa. Un gioiello da portare al collo, una goccia di vetro che contiene un cucchiaino della polvere della roccia che sbarrava il sepolcro di Gesù Cristo, puro concentrato di energia radiante, quattromila euro. E questi che fanno? Comprano. Staccano assegni e firmano. E noi dovremmo farci problemi a dare qualche dritta su come farsi risarcire la liquidazione. Chi è il pazzo, eh? Mai sottovalutare il bisogno di credere. L'incredulità è innaturale, come trattenere il fiato. I desideri invece sono la carne degli uomini. In questo caso il desiderio di soldi". (p. 139)
“I desideri … sono la carne degli uomini” è un’espressione molto
potente. Essendo io convinto che il desiderio sia l’uomo (e viceversa), penso
che Aloia sia scrittore da seguire con la massima
attenzione, come Roberto Michilli, l’autore di Desideri. Si leggano anche queste
parole, in cui si vede la capacità di Aloia di concentrare il senso in una breve nota:
“…ma non si può trascurare il tempo, perché è di tempo che il denaro ha bisogno per vivere e crescere, di tempo e d’amore, proprio come tutti noi”. (p. 179)
* * * * * * *
Ho letto questa
favola per adulti di Amos Oz,
D’un tratto nel folto del bosco
(Feltrinelli, Milano 2005). Noto, per inciso, una stranezza. Si legge:
Titolo dell’opera
originale
SUDDENLY IN THE DEPTH OF THE
A FAIRY TALE
© 2005 Amos Oz
Traduzione dall’ebraico di
ELENA LOEWENTHAL
Dunque Oz ha scritto l’opera in inglese, e la Loewenthal l’ha tradotta in italiano da una versione
ebraica? Mah…
Il racconto è un apologo sull'intolleranza del
diverso e sulla solitudine del ribelle. In un villaggio isolato d’un colpo tutti gli animali spariscono, compresi gli
insetti e i pesci del fiume. Per anni la comunità stende un velo sull’accaduto,
e ai bambini si narra di un demone Nehi, che infesta
il bosco, e si aggira di notte anche nelle strade del villaggio. Due fanciulli, infine, decidono di scoprire dove siano finiti gli
animali, e si inoltrano nel bosco. Tipica situazione favolistica. Non mi ha
soddisfatto. L'idea di tutti gli animali carnivori ed erbivori che in un luogo
segreto vivono insieme come fratelli (il che comporta, poi, un
cambiamento di dieta ed abitudini dei soli carnivori, che si abituano a
mangiare un vegetale dal sapore di carne, il carnemone) mi sembra bislacca, e
maledettamente antropomorfica, come al solito. Per molti umani gli animali risultano pensabili solo attraverso una mutazione della loro
natura reale. Ma la forzatura che li rende meri
simboli mi sembra non essere più lecita nel mondo contemporaneo, nella nostra
cultura che non è più quella medioevale, dove la simbolica concedeva l’unicorno
alla vista delle vergini. Possibile che non si possano pensare, e narrare, gli
animali come animali? In fondo, dunque, anche Oz
riesce ad accettare la diversità solo trasformandola in non-diversità. E questo
è un suo grave limite: la diversità deve rimanere tale, altrimenti su di essa si esercita violenza.
15 luglio 2006