DUE
LIBRI, UNA PAGINA (80)
Letture
di Fabio Brotto
Così denso e ricco è il discorso che
Giuseppe Fornari svolge nel suo poderoso libro La bellezza e il nulla. L'antropologia cristiana di Leonardo da Vinci
(Marietti, Genova-Milano 2005), che una breve nota non solo è insufficiente,
come per ogni libro, ma totalmente vana. Fornari dimostra quale possa essere la
forza di un'ermeneutica fondata sulle intuizioni originali di Girard—e messa a
punto con uno sviluppo e una integrazione di quelle—, e capace di dar conto di
tutti i fenomeni dell'umano, ivi compresa la grande arte pittorica. Leonardo
qui non è solo il genio multiforme e un po' enigmatico della tradizione
(tradizione che Fornari in parte demolisce), ma soprattutto è un uomo che si
sforza di venire a capo di una situazione esistenziale dolorosa mediante le sue
doti quasi sovrumane di tecnica pittorica e di riflessione, che lo portano
davanti al mistero dell'Incarnazione di Dio, e alla diabolica ambivalenza della
bellezza. Soprattutto la riflessione leonardesca viene valorizzata da Fornari,
che opera una penetrazione analitica davvero ammirevole di opere come
l'Adorazione dei Magi, portandone alla luce i contenuti speculativi e
religiosi. Leggiamo un passo in cui l'autore delinea l'impostazione dell'opera
e la sua posizione di pensatore cristiano.
Il problema è uno solo, quello
dell'uomo, e delle forze animali e insieme spirituali che lo compongono,
rendendolo capace di dare o distruggere il significato in se stesso e negli
altri. Soltanto le religioni hanno affrontato davvero l'immane problema di
come controllare e incanalare tali energie. Questo non vuol dire che le loro
risposte siano eguali fra loro, pur avendo alcuni elementi in comune. Per tutte lo spirito è lotta con se stessi, ed elevazione verso una realtà superiore. Si tratta però di vedere a che
prezzo e con che risultato, e con quale capacità di giustificare e salvare, in
ogni senso, i fenomeni che
definiscono la vita umana. La tesi che intendo sostenere, e che sono convinto
rifletta con la massima fedeltà la ricerca conoscitiva di Leonardo, è che
esiste un'unica religione in grado di spiegare, accettare e redimere tutti gli aspetti della vita dell'uomo,
realizzando la congruenza perfetta di spirito e carne, cioè
la presenza perfetta e completa dello spirito nel nostro corpo, nella nostra
vita. Mi sto riferendo all'unica religione che sia
interamente divina e umana, ossia al cristianesimo. Il vero spirito spiega e
redime la carne, vivendone in se stesso il desiderio e il dolore, e soltanto
la religione in cui Dio in persona si è fatto carne, impadronendosi attraverso
la sua sofferenza della nostra carne, rende possibile un'affermazione del
genere, rende concepibile una trascendenza capace di risolvere l'enigma
dell'uomo e della carica ambigua che lo definisce. Il cuore sanguinante che
appare a Dante, impossessandosi della sua vita, è il cuore di Cristo. E
un'esperienza non diversa può essere attribuita senza esitare a Leonardo,
anche se con modalità che spetterà a quest'indagine verificare. (p.47)
Fornari attua una lettura innovativa
dell'omosessualità di Leonardo, che viene riportata alla mimesi, e quest'ultima
a sua volta riceve una valorizzazione che aggiunge molto alle acquisizioni di
Girard. Questa valorizzazione, a prescindere dal discorso su Leonardo, mi
sembra una delle più importanti lezioni di questo studioso.
Leonardo è innamorato di Fieravanti di Domenico perché lo sta imitando, secondo una modalità travolgente, che nei termini impiegati da Girard è
definibile solo come mediazione interna,
la fase in cui il modello, il mediatore fra il soggetto e l'oggetto del
desiderio, cessa di essere "esterno", lontano fisicamente e
simbolicamente dal soggetto, e diventa così vicino da dominare il campo e da
divenire lui stesso, in una maniera o nell'altra, l'oggetto desiderato. Erroneamente Girard, che ha definito questo fenomeno nella sua
prima opera senza più veramente tornarci, fa coincidere la
mediazione interna con l'imitazione che è divenuta rivalità distruttiva,
un'identificazione certo non priva di ragioni, come si vedrà nel prossimo
capitolo, e che ha consentito a questo pensatore di isolare e definire le
proprie scoperte. Adesso però, grazie a queste stesse scoperte, è
facile dimostrare come tale identificazione sia
riduttiva e schematica. Lai fenomenologia del desiderio è molto più ricca ed
elastica di quanto Girard voglia ammettere, e giunge
a focalizzarsi sul mediatore in forme così potenti da fare dell'imitazione di
questi il fulcro di un nuovo corso vitale, la chiave di realizzazione della
propria affettività, della propria fantasia, socialità, conoscenza, lo
strumento per impossessarsi affettivamente e conoscitivamente del mondo. Si
tratta di una mimèsi giunta al grado più alto di intensità,
ma con caratteri estremamente creativi e fecondi, uno stadio che io definisco mediazione interna positiva o anche mediazione interna oggettuale, giacché
in essa il mediatore non cancella l'oggetto, come ritiene Girard, ma al
contrario lo esalta al massimo, a cominciare dalla propria stessa persona.
L'innamoramento è l'esempio più evidente di questo rapporto, e in generale le
situazioni affettive più coinvolgenti ed intense, e ad esse
si possono aggiungere quelle attività umane, le più ricche e importanti, che
implicano creatività, entusiasmo, coraggio, senso dell'infinito. Siamo
nientedimeno in presenza del più grande serbatoio di
energie dell'umanità, quello che rende l'amore, la vita, la cultura possibili.
Siamo davanti alla forza che rende possibile l'esistenza dello spirito umano.
La visione guardiana resta ancora unilaterale, e non supera quel riduzionismo
di marca psicanalitica contro cui il pensatore
francese si scaglia, continuando però a riprodurne alcune caratteristiche.
Nemmeno Girard ha pieno accesso a quell'equilibrio oggettuale che resta un
tipico scoglio delle visioni contemporanee dell'uomo. (p. 139)
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Migrazioni di Miloš Crnjanski (Ceoбe, 1929-1962, la prima parte e la seconda sono rese in romanzi
autonomi, Migrazioni I e Migrazioni II, pubblicate in
Italia da Adelphi nella traduzione di L. Costantini) è un opus complesso e stratificato, in cui si intrecciano motivi
diversi, e la storia si congiunge al mito e alla metafisica. Qui siamo lontani
le mille miglia da una letteratura immediata e leggera, del tipo oggi più
diffuso, e si respira la tremenda serietà dello scrittore investito da
un'ispirazione che lo trascende, che pesa su di lui. In Migrazioni I il vagabondare del reggimento Slavonia-Danubio
al servizio dell'Impero Asburgico nelle guerre europee del Settecento, tra
marce estenuanti, fango, battaglie e saccheggi, è reso mirabilmente: questi rozzi
soldati serbi, strappati alle loro case di fango e ad una patria provvisoria in
cui si sono stabiliti pur sempre agognando un ritorno nelle terre strappate
loro dai Turchi, sono i padri dei Serbi dei due secoli successivi. Essi
combattono le guerre di altri senza sapere il perché: una vita dura, e
combattere e morire, appare un destino ineluttabile. E
poi ci sono le vicende personali di due fratelli diversissimi, un comandante
militare e un commerciante, e della donna che è la sposa del primo e l'oggetto
del desiderio del secondo, in una spirale mimetica che conduce alla morte.
Grande la parte finale, in cui al villaggio ritorna il fantasma di un soldato
morto, e la bella donna adultera, morta di malattia, per il popolo diventa un
vampiro che diffonde malattia e distruzione e perciò deve essere eliminato (col
paletto piantato attraverso la bara). Balcani di
sangue e di capri espiatori.
L'intensità anche lirica di Migrazioni
I è rivelata dall'indice, di per sé stupendo.
25 gennaio 2007