DUE LIBRI,
UNA PAGINA (95)
Letture di
Fabio Brotto
Un libro
del 1987, che leggo solo ora è Violent Origins (Stanford University
Press), che si presenta come un grande dibattito sul
sacrificio e le sue origini, tra René Girard, Walter Burkert
e Jonathan Z. Smith, con interventi anche corposi di Burton Mack e Renato Rosaldo e altri.
Studiosi molto diversi come formazione e prospettive e idee di
antropologia si confrontano in modo serrato. Libri del genere sono rari,
e anche illuminanti.
C’è qui un
vero conflitto di interpretazioni sul senso del
rituale, sulla possibilità di attingere una qualsiasi origine, sulla
pratica del sacrificio e sulla stessa legittimità scientifica del termine.
Uno dei
punti per me più interessanti è quello in cui si sviluppa un conflitto di interpretazioni sulla derivazione del sacrificio dalla
caccia, proposto da Burkert nel celebre Homo necans (che lessi molti anni fa, e fu una pietra
miliare nella costruzione della mia visione del mondo). Poiché le evidenze
paleolitiche di sacrificio (crani di orsi ammucchiati,
ecc.) sono labili e discutibili, mentre tutte le pratiche sacrificali
conosciute riguardano animali domestici, non sarebbe meglio coniugare il sacrificio
al “mistero della domesticazione” piuttosto che alla
caccia? Smith propone una sua interpretazione in
questo senso (cui non crede per motivi metodologici, ma avanza ugualmente per
mostrare la fragilità di quella burkertiana). Girard
sostiene che sia la caccia che la domesticazione sono derivate dal sacrificio, che per lui è il primum movens.
Dal canto mio, penso che la domesticazione sia
misteriosissima per un semplice fatto: il lupo e il cane sono
lo stesso animale, e tutti pensano che il cane sia un derivato del lupo. Infatti è stata appena creata proprio qui da noi una razza
di cane, il lupo italiano, accoppiando lupo e cane. E tuttavia, il
lupo è meno addomesticabile di qualsiasi altro
carnivoro, al punto che non è mai stato possibile esibirlo nei circhi, a
differenza di leoni, orsi, e addirittura iene, per non parlare dei ghepardi,
che sono anche stati addestrati per la caccia. Il lupo manifesta un’assoluta
renitenza all’ammaestramento. E da questo animale
sarebbe derivatio il più addestrabile di tutti, il
cane. Qui non so che pensare.
Burkert ritiene che
il cacciare sia una pratica che per i nostri antenati implicava una sorta di
shock, da cui una serie di conseguenze di estrema
importanza. “… Io ho ritenuto che il cacciatore umano fosse un caso speciale:
essendo addestrato ad uccidere contro i suoi istinti e la sua eredità, l’uomo
deve aver sperimentato l’equivalenza uomo-animale e così mescolato impulsi di aggressività con l’abilità di cacciare”. Ma egli stesso riconosce che è difficile “provare questo
empiricamente” (p. 170). Infatti si tratta di
speculazioni psicologiche (derivate forse anche dalla sensibilità personale -
l’autore di Homo necans detesta la caccia).
Nel suo intervento finale, Renato Rosaldo, che è
vissuto per anni come antropologo tra i cacciatori di teste, evidenzia come
costoro non provassero niente di simile ad un senso di
colpa per le loro uccisioni. Del resto, lo stesso Burkert
non riesce ad avvertire la contraddizione tra ciò che egli stesso conosce dei
primati e il comportamento che attribuisce ai nostri antenati umani. Gli
scimpanzé infatti cacciano, uccidono altri della
stessa specie, e in qualche caso praticano il cannibalismo. Quindi i nostri
antenati potrebbero aver ucciso animali secondo “i
loro istinti e la loro eredità”.
Quello che manca a tutti gli autori qui è una chiara individuazione del
segno umano come costitutivo della differenza col non-umano. Anche se Burkert
stesso si avvicina al concetto quando afferma come
proprio degli umani il coglimento della “dimensione temporale”, che manca anche
ai primati più evoluti, e sulla quale si costruiscono i rituali, che hanno
sempre una proiezione verso il futuro (e la morte) (p. 171). Ma appunto ciò che
rende disponibile la terza dimensione agli umani è il segno,
che si distacca dalla pura immanenza del fluire mondano e resta disponibile
anche quando l’oggetto di riferimento è consumato. Da questo punto di vista,
l’antropologia generativa, che il pensiero di Girard ha reso possibile,
costituisce un passo avanti decisivo.
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Ho sempre
saputo che la caccia è per eccellenza la forma della vita felice. Non
per teoresi, ma per esperienza. Ritrovo quest’idea
sviluppata nel bellissimo testo di José Ortega y Gasset Discorso
sulla caccia (Sobre la caza, trad. it. di A. Vitali,
Editoriale Olimpia 2007). In questa che in realtà è una lunga e articolata
prefazione ad un libro del suo amico grande cacciatore
conte di Yebes, Ortega
indaga filosoficamente la natura della caccia. Arrivando alla conclusione che
essa non è mutata in migliaia di anni. Ora che viviamo
nel momento del suo tramonto, essa può rivelare che cosa è stata: la perfetta
forma della vita felice.
Scipione
Emiliano fu probabilmente il più grande dei Romani. Attorno a lui si elaborò il
fondamentale concetto dell’ humanitas,
che sbocciò nell’opera di Terenzio, Cicerone e Seneca.
Scipione Emiliano è anche l’esemplare dell’amico perfetto. E
l’amicizia, non certo l’amore romantico, è per gli antichi (e per me nel mio
piccolo) ciò che di più alto si può realizzare nella vita. Scipione e Polibio diventano amici perché cacciatori. Mi era sempre sfuggito,
l’ho scoperto in Ortega, che cita un passo di Polibio.
Nel testo di Ortega c’è un capitoletto
meraviglioso, il cui solo titolo mi ha incantato: D’un tratto, in queste
pagine, si odono latrati. Poiché, in verità, la caccia
per sua natura non è solitaria. La caccia solitaria è
una derivazione, la caccia originaria è caccia di branco. L’umano,
essere mimetico, ha prima di tutto imitato i lupi (il mito del licantropo ne è remoto segno). Poi ha associato a sé quella creatura
che ancora, nella campagna, ad alcuni come me fa
ribollire il sangue. La caccia di branco: la muta di cani, il gruppo di umani. Prima la vicenda artemisia, col suo risvolto dionisiaco, poi la narrazione. La narratività umana
deriva dalla caccia, non dalla raccolta delle bacche. Ortega
sembra aver vissuto un incontro ravvicinato con lo Spirito della Caccia.
8 febbraio
2008