ELETTRA BEDON
http://www.aicw.ca/membership.htm#ElettraBedon nessuno@videotron.ca
___________________________________________________________________________________________________
“Il
pescatore di parole,” ci scrive Elettra, è «un breve "racconto," che
in realtà non è un racconto ma una specie di "dichiarazione d'amore"
per le parole.» Esso è stato pubblicato in Storie di Eglia (narrativa),
Montfort & Villeroy, Montréal, 1998 e qui riprodotto per gentile
autorizzazione.
(English translation
follows)
U |
n giorno le parole si ribellarono e si buttarono
in mare. Non tutte avevano lo stesso motivo: alcune dichiararono che l’uso
continuo gli aveva fatto venire l’esaurimento; altre, al contrario,
protestavano perché venivano adoperate troppo poco (infatti molta gente farciva
le proprie frasi di ‘cosa’, ‘coso’ e ‘cosare’). Altre, infine, non potevano più
sopportare di vivere nella confusione. Il loro significato era stato talmente
tirato da tutte le parti per coprire le cose più diverse che non sapevano più
chi fossero (le parole ‘pace’ e ‘amore’ erano le più stravolte, tra queste).
La gente non se ne
accorse subito. Chi, per abitudine, non ascoltava mai chi gli parlava, continuò
a emettere di tanto in tanto qualche suono di partecipazione (uhm … ah … ohoh …
eh …). Chi parlava tanto per parlare non faceva mai attenzione a quello che
diceva, così non si accorse quando dalla bocca non gli uscirono più parole. Chi
sapeva così bene quello che sarebbe stato detto da indovinare le parole prima
che fossero pronunciate (i bambini con le loro mamme, per esempio) continuò a
indovinare, senza rendersi conto che di parole pronunciate non ce n’erano più.
Anche per gli innamorati che passavano ore guardandosi negli occhi, sospirando,
scambiandosi teneri squittii, la scomparsa delle parole passò inosservata.
Ma poi a poco a poco
tutti lo seppero. Qualcuno pensò di essere diventato sordo; qualcuno pensò di
essere diventato muto. Ma il primo vero segnale d’allarme fu dato dal calo
improvviso delle vendite porta-a-porta. Le persone visitate, non più distratte
dalle parole dei venditori, cominciarono a esaminare più attentamente gli
articoli loro proposti, acquistando solo quelli che servivano veramente. Anche
tutti quelli che basano la loro professione sull’eloquenza (avvocati,
conferenzieri, politici) si trovarono a
malpartito.
I primi a reagire furono
i bambini: cominciarono a intendersi a gesti e, quando proprio non riuscivano a
capirsi, ricorrevano ai disegni. Sempre più gente frequentò le scuole di mimo.
Più d’uno cercò di ovviare all’inconveniente emettendo dei suoni modulati che
imitavano quelli delle parole. Per quelle più semplici la cosa riuscì; i
componenti di un’orchestra capivano che il pubblico diceva “Bravo! Bravo!”
quando battendo le mani gridava “a-o! a-o!”. E non era difficile interpretare
“oe” (“dove”), “e-oa” (“che cosa”), “ua-o” (“quando”) se venivano dette al
momento giusto. Ma quando qualcuno domandava oè ia ei, intendendo Via Verdi, si
poteva capire Via Cervi, Via Servi, Via Nervi, e chissà quante ancora.
Ho dimenticato di dire
che solo le parole parlate erano scomparse; quelle scritte rimasero.
In un primo momento
sembrò che si fosse creata l’occasione perché le immagini soppiantassero i
testi, come stavano cercando di fare già da tempo. La gente si rese presto
conto, però, che senza l’aiuto delle parole le immagini in certi casi erano
estremamente noiose, o assolutamente ridicole; fu necessario allora proiettare
brevi testi insieme alle immagini.
La gente non aveva
pazienza di leggere a lungo, così si riscoprì il valore di una bella frase in
cui ogni parola ha un significato chiaro. Si diffuse il gusto di scrivere bene,
utilizzando parole magari sin’allora poco usate, ma esprimendosi in modo da
farsi capire da tutti. Non avendo più l’occasione di ascoltare ‘paroloni’, si
perse l’abitudine anche di usarli nella pagina scritta.
La lettura dei brevi
testi che accompagnavano le immagini poco alla volta riportò la gente al gusto
della lettura. Ci si rese conto che nel leggere una storia ben scritta ciascuno
poteva creare delle immagini, spesso migliori di quelle (uguali per tutti)
proposte dalle storie presentate dalla TV.
Dopo una notte di
mareggiata in cui l’acqua del mare, rivoltandosi su se stessa, aveva tirato su
dalle sue profondità e buttato a riva cose di ogni genere, un pescatore trovò
le parole.
Era l’inizio del giorno,
quando il cielo e il mare hanno il colore del silenzio. Sulla sabbia bagnata,
compatta e appena scivolosa, il pescatore lasciava le orme dei suoi piedi nudi.
Trascinava un sacco dietro di sé, e ci buttava dentro quello che andava
raccogliendo.
Il pescatore era un uomo
solitario. Passava ore a leggere e a guardare il mare, a camminare lentamente
lungo il bagnasciuga. Non sapeva niente, lui, della sparizione delle parole.
Quello che stava
raccogliendo non era ben identificabile, all’inizio: sembravano straccetti
bagnati, informi. Avevano un forte odore di mare; anche il gusto era salato (ne
aveva succhiato cautamente un angolo per cercare di capire di che cosa si
trattasse).
Ne aveva stesi un po’
sopra una roccia e a mano a mano che si asciugavano prendevano forma e
consistenza.
La prima che riconobbe
fu ‘grammatica’ e vicino c’era ‘sintassi’. Cominciò a guardarle a una a una,
prima incuriosito e poi affascinato. Di alcune, più antiquate, conosceva appena
il significato; altre gli erano ben note. Tutte avevano un loro gusto, colore,
profumo, grande potere evocativo.
Fanfaluca. Giulebbe. Fraternità. Consumare. Pietanza. Scellerato. Nuvola. Gelosia. Condizionamento. Attualizzare. Talea.
A mano a mano che le
raccoglieva le pronunciava ad alta voce, assaporandole.
Intanto il sole era
salito nel cielo. Alcuni bambini, venuti a giocare sulla spiaggia, si erano
avvicinati al pescatore e, imitandolo, avevano cominciato a ripetere le parole
con le loro voci nuove. Ciascuno di loro ne portò a casa un piccolo bottino, e
se le scambiavano per gioco: se ti do ‘foglia’ e ‘corteccia’, mi dai
‘parallelepipedo’? Che cosa vuoi in cambio di ‘giardino’?
Molte parole erano
rimaste sulla riva del mare e un vento leggero le disperse nell’aria.
La gente, costretta a
cercare di capirsi senza ricorrere alle parole, aveva imparato a parlare in
modo diverso; con le parole era più facile, però. Riconoscenti perché erano
tornate, le usarono con attenzione, dando loro il significato esatto. Fu come
cominciare tutto da capo.
E il pescatore?
Il pescatore cominciò a
leggere ad alta voce (come aveva fatto con le parole raccolte dalla sabbia) le
poesie che scriveva da sempre. E la gente si fermava ad ascoltare.
______________________________________________________________________________________
(English
translation)
Elettra Bedon
(translated by Licia Canton)
O |
ne day the words rebelled and jumped into the sea. They didn’t all have
the same reason for doing so: some declared that the constant usage had caused
them to break down; others protested that they were used too little (in fact,
many people stuffed their own sentences with “thing” and “something”). Finally,
still others could no longer stand living amid the confusion. Their meaning had
been stretched so far and in so many ways, to cover such various things, that
they no longer knew who they were (among these, the words “peace” and “love”
were the most distraught).
People didn’t notice right away.
Those who had the habit of not listening when one spoke continued to make
sounds of participation every once in a while (uhm … ah … ohoh … eh …). Those
who spoke for the sake of speaking never paid attention to what they said, and
thus did not notice when words no longer flowed out of their mouths. Those who
already knew what was going to be said and were able to guess the words that
would have been pronounced (children with their mothers, for example) continued
to guess, without realizing that no more words were being pronounced. Even for
those lovers who spend hours staring into each other’s eyes, sighing,
exchanging soft squeaks, the loss of words was not noticed.
But little by little everyone found
out about it. Some thought they had become deaf; others
thought they had become mute. But the real alarm signal was given when
door-to-door sales dropped considerably. No longer distracted by the words of
sales representatives, people called upon started examining articles more
carefully, and only bought what they really needed. Even those professionals
who depend on eloquence (lawyers, conference speakers, politicians) were at a
loss.
Children were the first to react:
they communicated using gestures and, when they really couldn’t understand each
other, resorted to drawings. More and more people attended mime schools. More
than one person tried to get around the problem by making modulated sounds to
imitate those of words. This worked for simple words; members of an orchestra
understood the audience’s “Bravo! Bravo!” when they clapped and screamed “a-o!
a-o!”. And it wasn’t difficult to interpret “e-i” (“where is”), “a-u” (“what’s
up”), “e” (“when”) if said at the right moment. But when someone asked “ei ei
ee?” meaning “where is
I forgot to mention that only
spoken words took off; written words stayed.
At first, it seemed that this was
the perfect opportunity for images to replace
texts, as they had been trying to do for a while. People quickly realized,
though, that without the help of words, images were extremely boring in some
cases, or totally ridiculous; it was therefore necessary for short texts to
accompany the images.
People didn’t have the patience to
read at length, so they rediscovered the value of a beautiful sentence in which
every word has clear meaning. The joy of writing well began to spread – using words that may have been little used
till then but in a way that would be understood by everyone. Big words were no
longer being heard and so the habit of using them in writing was also lost.
Little by little, reading the
short texts that accompanied images brought back the joy of reading. They
realized that while reading a well-written story, each one could create images,
usually better than those (which were the same for everyone) proposed in TV
stories.
After a stormy night during which the sea turned inside out and threw onto the shore a whole slew of things from its deep waters, a fisherman found the words.
It was the beginning of the day,
when the sky and the sea are the colour of silence. On the compact, slightly
slippery, wet sand, the fisherman left the imprint of his naked feet. He was
picking up things and putting them into the bag he dragged behind him.
The fisherman was a solitary man.
He spent hours reading, looking at the sea, and walking slowly along the
shoreline. He didn’t know anything about the words’ disappearance.
At first, it was difficult to tell
what he was picking up: they looked like shapeless, wet rags. They had the strong smell of the sea and
tasted salty (he had carefully sucked on a corner to try to figure what he was
dealing with).
He had spread some out on a rock
and, as they dried, they slowly gained shape and consistency.
The first he recognized was
“grammar,” which was next to “syntax.” At first he was curious, but then he
became fascinated. He looked at them one by one. He barely knew the meaning of
a few antiquated words; others he knew well. They all had their own taste,
colour, perfume … great evocative powers.
Fantasy. Julep.
Fraternity. Consume. Dish. Villain. Cloud. Jealousy. Condition. Focus. Cutting.
As he picked them up one by one,
he said them out loud and savoured each one.
Meanwhile the sun had risen. Some
children who had come to play on the beach, approached the fisherman and
imitated him, repeating the words with their new voices. Each one of them took
home a small bunch, and exchanged them in games: if I give you “leaf” and
“bark,” will you give me “parallelogram”? What do you
want in exchange for “garden”?
Many words were left on the
seashore and a light wind dispersed them into the air.
People had been obliged to
communicate without words and had learned to speak in a different way, but it
was easier with words. Grateful for their return, they used them with care,
giving them exact meaning. It was like starting all over.
And the fisherman?
The fisherman started reading out
loud (as he had with the words he had picked up on the sand) the poems he had
always written. And people stopped to listen to him.
1 gennaio 2007 / 1 marzo 2007
LETTERATURA
CANADESE E ALTRE CULTURE