Un
brano tratto da Eroi e vittime dimenticati
di Ernesto Carbonelli
“Il cerchio di fuoco sta per chiudersi; Supino ha
subito i primi danni gravi. Oltre alla devastazione delle abitazioni private,
bisogna menzionare anche la distruzione della chiesa di Santa Maria Maggiore. Ma arrivano i ‘liberatori’: sono entrati a Giuliano, Prossedi, Maenza, Roccagorga e Sezze. C’è stata
però una sorpresa: non erano americani come tutti si aspettavano, indossavano
strane uniformi e i loro tratti somatici erano diversi. Coloro che erano stati
in Libia hanno subito capito tutto….
Corre voce che i tedeschi siano in uno stato di disorganizzazione e che la guerra sia,
a tutti gli effetti, finita. La presenza delle forze alleate nelle vicinanze
del paese e il silenzio dei cannoni, fanno pensare che Supino sia stato
finalmente ‘liberato’. E così è stato dichiarato! …
Rassicurate dalla calma che era tornata in paese, ma spinte soprattutto dalla necessità, un gruppo di
donne si avventurò nella vallata dietro
il monte Gemma per raccogliere legna da ardere. La popolazione faceva i
preparativi per la festa e la processione in onore di San Cataldo, che erano stati posticipati a causa dei combattimenti. Una parte
della legna raccolta sarebbe stata venduta e con il ricavato si sarebbe
comprato l’occorrente per il pranzo festivo che tutti attendevano con ansia. I supinesi non avevano festeggiato in modo decente da fin
troppo tempo, ma sembrava che tutto stesse per tornare alla normalità.
Con animo allegro, dodici donne, due o tre
delle quali ancora giovanissime, si radunarono molto presto davanti alla chiesa
di San Nicola. Lo avevano fatto molte volte prima delle ostilità e,
occasionalmente, anche durante. Alle tre del mattino il cielo era limpido e la
luna diffondeva una fioca luce che consentiva loro di muoversi speditamente.
E così si avviarono. Praticamente tutte conoscevano
a memoria la strada, e si diressero per il sentiero tortuoso. Raggiunsero
presto la valle, e poi di nuovo risalirono sull’altro versante. Attraversarono la zona Valloni, e giunsero alla sorgente Pisciarello, passando sotto la zona Mia Tota.
La fonte sgorgava sotto una parete massiccia
di granito; nei pressi della Summusucala, dove
l’acqua si raccoglie in piccoli canali scavati trasversalmente nella roccia
dalla quale cola, la parete nelle prime ore del mattino sembra trasudare. Lì
ammorbidirono quel poco
pane raffermo che si erano portate, lo condivisero tra loro e si riposarono un po’. Non avendo tempo
da perdere proseguirono per Tassetto, dove sarebbe
stato possibile raccogliere molta legna in fretta. È’ davvero facile arrampicarsi fin
lassù, da quel versante della montagna. Sebbene
scoscesi e tortuosi, i viottoli delle capre offrono un percorso piacevole e
spedito, se si viaggia senza ingombri. Sarebbe comunque
impossibile scendere seguendo la stessa strada; le donne dovevano trasportare
fastelli di legna, bilanciandoli sulla testa mentre attraversavano la folta
boscaglia. Così, invece, dopo aver preparato i fastelli, si recarono
verso la piana di Santa Serena per prendere la mulattiera nel viaggio di
ritorno al paese, che si trova sull’altro versante della montagna.
Potevano lasciar cadere i fastelli lungo i molti scivoli naturali, creati da
smottamenti, per poi riprenderli più in basso dopo il tornante. Questo faceva
risparmiare loro tempo ed energia, e alcune delle più temerarie si
sedettero addirittura sopra i fasci di legna,
scivolando giù con essi!
La valle di Santa Serena ha un terreno molto
irregolare. Laddove terminano i querceti ed i faggeti, il paesaggio è brullo e
desolato. I pastori sono riusciti a coltivare il grano racimolando qua e là un
po’ di terra fertile, contenendola tra bassi muri eretti a secco, per evitare
frane e tener lontane le capre e le pecore. Se si giunge dal Tassetto, la fonte appare proprio
di fronte, non appena si esce dal bosco.
Avendo preparato tutti i fastelli prima
dell’alba, le donne si aiutarono a vicenda a caricarli sul capo, per portarli
attraverso il resto del bosco fino alla sorgente di Santa Serena. Lì avrebbero
riposato, bevuto e iniziato la discesa, felici all’idea di poter preparare un
pranzo decente per le loro famiglie. Cantavano e si scambiavano pettegolezzi,
camminavano velocemente, noncuranti che qualcuno avrebbe potuto sentire le loro
voci allegre. Oltrepassarono l’ultimo tornante prima
della valle di Santa Serena, attraversata la notte precedente dai tedeschi in
ritirata e si trovarono di fronte a un gruppo di marocchini eccitati dalle
giovani voci femminili. Mai erano stati impartiti ordini per contenere
il loro comportamento illecito, e l’isolamento della montagna dava loro
maggiore libertà di agire con violenza.
Più in alto, sul sentiero, in una grotta
sopra la fonte, si nascondevano cinque soldati tedeschi che avevano ricevuto
l’ordine di difendere le retrovie dell’esercito in ritirata. Avevano un’ottima
visuale della vallata: i marocchini erano un bersaglio facile. Dovevano solo
aspettare che fossero allo scoperto e poi fare fuoco. Anche
loro avevano udito la voce allegra delle donne, prima ancora di vederle sbucare
sullo spiazzo davanti alla fonte. Ciascuno vide in loro la propria madre, la
sorella, la fidanzata, lasciate da ormai troppo tempo. Intuirono le intenzioni
dei marocchini, e avrebbero voluto mettere in guardia
le donne che, invece, buttati a terra i fastelli, gli si avvicinavano per
accoglierli come i ‘liberatori’. Ma avvertirle avrebbe
voluto dire mettere a repentaglio la propria vita, e se avessero sparato
temevano di colpire anche le donne, sulle quali i marocchini si erano avventati
come cani rabbiosi. Sul viso delle donne la gioia si era trasformata in orrore;
le madri cercarono istintivamente di proteggere le proprie figliole. Ma i marocchini, giovani e forti, armati di fucili e di lunghi
coltelli, erano in molti; con i vestiti strappati e i coltelli alla gola, le
malcapitate dovettero cedere. Una ragazza giovanissima, quasi una
bambina, riuscì a divincolarsi; si buttò verso il bosco, inseguita da un
marocchino che stava per afferrarla di nuovo. D’istinto, uno dei soldati
tedeschi prese la mira, premette il grilletto, colpendolo alla testa. Al rumore
dello sparo gli altri marocchini lasciarono le donne, ripresero i fucili,
cercarono riparo correndo verso il bosco, rispondendo intanto al fuoco dei
tedeschi. Le donne, capitate loro malgrado nel tiro
incrociato, urlavano e correvano per cercare di mettersi in salvo. Uno dopo
l’altro i marocchini uccisero
i soldati tedeschi, in netta minoranza. Dopo la sparatoria ripresero
lo stupro delle malcapitate donne – inebetite da ciò cui avevano assistito.
L’ufficiale francese aveva girato le spalle alla scena disgustosa, e solo
quando sentì che i marocchini si erano calmati lanciò seccamente l’ordine di
raccogliere il morto, i feriti, e di riprendere il sentiero per
cui erano venuti.
L’orda selvaggia ripartì, lasciando le donne
in uno stato di trauma fisico ed emotivo: sanguinanti, doloranti, e piene di
vergogna. Non è difficile immaginare i loro pensieri in quel momento.
Sicuramente molte di loro avrebbero voluto buttarsi da uno dei tanti precipizi
o recarsi in una delle grotte carsiche per togliersi la vita. Pian piano,
invece, recuperarono la lucidità e fra di loro
parlarono di cosa avrebbero fatto dopo quello che era accaduto. Le più anziane consolavano le più giovani, le madri davano conforto alle
loro figlie. L’istinto di sopravvivenza vinceva la disperazione, ma tutte si
chiedevano a quale prezzo. Ritornate al paese cercarono conforto nei sacramenti, la
confessione e la comunione. Il sacerdote disse che avevano sofferto abbastanza,
che non avevano peccati da confessare; pregò con loro,
le benedisse. Sebbene la maggior parte della gente usasse tutta la discrezione
di cui era capace, alcuni accusarono le donne di aver in qualche modo provocato
l’incidente: era come mettere
sale sulle piaghe. L’unica persona che conosceva tutta la verità
era il sacerdote.
Il giorno seguente furono alcuni pastori a
scoprire le prove dell’orribile evento. Trovarono i corpi dei tedeschi;
brandelli di vestiti familiari erano sparsi ovunque, sangue imbrattava il
terreno. Mossi a pietà, e consapevoli che i corpi presto avrebbero iniziato a
decomporsi e ad attrarre animali selvatici, i pastori seppellirono gli sventurati, scavando
tombe poco profonde a causa del terreno piuttosto roccioso che si trova sui
monti Lepini. Costruirono cinque croci grezze per
segnare le tombe, e su
di esse appesero gli elmetti.”
***
Ernesto Carbonelli è
nato a Supino, una cittadina in provincia di Frosinone,
nell’Italia centrale. Nei primi anni Sessanta del Novecento è emigrato in
Canada. È autore di La rava allu frisco, un libro di
poesie in supinese, e Fieno secco, un libro di poesie in italiano, oltre a Eroi e vittime dimenticati. Supino 1944.
An excerpt from Fallen Heroes, Forgotten Victims
by
Ernesto Carbonelli
“The ring of
fire is closing in; Supino received its first serious
damage. Besides the harm done to private homes, one also has to note the havoc wreaked on San Pietro Church. But
the “liberators” are coming: they entered Giuliano, Prossedi, Maenza, Roccagorga and Sezze. There was a
surprise, however. They weren’t Americans, as everyone had expected: they wore
strange uniforms and had different somatic traits. Those who have been in
News
is spreading by word of mouth that the Germans are in disarray, and for all
intents and purposes the war is over. The presence of Allied Forces near the
town and the silence of the cannons indicated that Supino
was finally “liberated.” And so it was declared!
Reassured
by the calm, but driven mainly by necessity, a group of women ventured into the
valley behind Monte Gemma to collect wood. The people
were preparing for the feast and procession of San Cataldo,
which was postponed because of the fighting. Some of the wood collected would
be sold and some used to prepare the festive meal that everyone was looking
forward to. The Supinesi had not had a decent
celebration in far too long, but normality seemed to be on the doorstep.
In high spirits, the twelve women, two or
three of whom were very young, assembled early in front of San Nicola Church.
They had done this many times before the war and occasionally even during.
Without a cloud in the sky, at
They ascended quickly and reached the
fountain under the massive, vertical wall of granite. At La Summusucala,
where the water collects in small channels carved transversally in the rock
from where it drips, the wall seems to sweat early in the morning. There they
dipped the little stale bread they had brought with them, shared it, and rested
a short time.
With little time to waste, they proceeded
for the Tassetto area, where they could quickly
collect a lot of wood. It is really easy to climb from that side of the
mountain. Though steep and winding, the goat paths are quickly and pleasantly
traveled without any burden. Coming down the same way, however, is impossible.
The women would have had to carry the wood in bundles, balancing it on their
heads and going through the thick brush. So, instead, after making the bundles,
they traveled towards the Santa Serena plateau to take the mule’s path for the
return journey into town, on the other side of the mountain. The presence of many
natural slides, created by falling rocks, allowed them to slide the bundles
down and pick them up again after rounding the next hairpin curve. This saved
them a lot of time and energy, and many times the more courageous ones would
even ride the bundles down!
The
Having made the bundles of firewood by
sunrise, the women helped each other load the bundles on their head to carry
them through the rest of the woods to the fountain of Santa Serena. There they
would have rested, drunk and started the descent towards town. They would have
been happy in anticipation of a decent meal with their families. They would
have sung and gossiped. They walked quickly, unaware that the Moroccans could
hear their happy voices. They cleared the last hairpin curve before the
They moved towards the group of women like
wild dogs. The women thought they were greeting “liberators.” They threw down
their bundles of firewood and moved towards them. Alas, they soon discovered
the real intentions of the Moroccans! Their joy changed to terror immediately
and the mothers instinctively tried to protect their daughters. But there were
many strong Moroccans, armed with rifles and long knives. Their clothes torn
and knives at their throat, the women succumbed. One by one the Moroccans
satisfied their lust on all of them. And this happened under the eye of the
French commander.
Hidden approximately 250 meters up the
path in a cave above the fountain were five German soldiers under orders to
protect the rear of their retreating army. They could clearly see down into the
valley. The Moroccans were an easy prey! All they had to do was wait for the Moroccans to be in the open and fire upon them.
But they were afraid of wounding the women. At the first opportunity one of the
Germans opened fire; a Moroccan went down. The others ran for cover, as they
opened fire in the direction of the German soldiers. The women, caught in the
crossfire, screamed and ran for their lives. One by one the German soldiers,
heavily outnumbered, were picked off by the Moroccans and killed. After the gun
battle, the Moroccan beasts resumed raping the unfortunate women – numbed by
what they had witnessed – in proximity of the lifeless bodies of the soldiers
who had tried to help them!
The horde departed, leaving the women in a
state of physical and emotional shock. Bleeding, in pain, dirty and ashamed, it
is not difficult to imagine what went through their minds! Surely more than one
must have wanted to jump from one of the many precipices or go to one of the carsic caves to commit suicide. Gradually, they regained their
senses and planned what to do. The older ones consoled the younger ones,
mothers consoled daughters. The instinct of survival overcame the desperation.
But at what price, they asked each other. They looked for the consolation of
the sacraments and went to confession and communion. The confessor said that
they had suffered enough and that they had no sin to confess and thus absolved
them all. Although most people used the most discretion that they could muster,
some accused the women of having provoked the incident. That was like adding
salt to their wounds. The confessor was the only person who knew the whole
truth.
The day after, shepherds found the
evidence of the horrible occurrence. The German corpses were in a pile, pieces
of familiar clothing were strewn all over. Blood and other signs were evidence
that something inhuman had taken place. Moved by pity, and knowing that the
bodies would soon start to decompose and attract wild animals, the shepherds
buried the unfortunate men in shallow graves, because of the limited amount of
earth at the top of the
***
Ernesto Carbonelli was born in Supino, a
small town in the