Bruna Di Giuseppe-Bertoni
ESUMATO*
(segue testo in inglese)
Con fiori in mano camminavo sul percorso che conduceva alla tomba di mia
nonna. Quando trovai il posto che ricordavo, stetti in piedi guardando fisso
l'iscrizione di un nome sconosciuto.
Nel portafotografie ovale, il ritratto non era quello della nonna. Ero
certa che dove mi trovavo, in quel punto, accanto al mausoleo della
"Famiglia Padacci" era dove
l’avevamo seppellita. La sua
tomba era la prima sulla destra, e solo due tombe erano a fianco della sua.
Subito dopo, vicino all'ultima tomba, c'era una chiesuola con un grande angelo
sul tetto. Era un angelo piangente, una cosa di cui non mi sarei dimenticata.
Questa grandissima scultura di marmo, l’angelo inginocchiato con la testa tra
le mani, rendeva bene il profondo dolore per i defunti.
"Mio Dio, dove l'hanno messa?", dissi ad alta voce, "chi
hanno messo qui al posto suo?"
È questo ciò che accade alle persone la cui famiglia non è qui per badare
alla tomba? Pensai che forse il posto era stato venduto, dato che nessuno si
faceva vedere da anni per una visita. Poi mi misi a riflettere; avevo il dubbio
che forse la memoria mi tradiva, così cominciai a guardare in giro. "Forse
questa non è la sua tomba," mormorai. Sette anni sono lunghi per ricordare
esattamente.
Avevo guidato da sola per
arrivare a questo piccolo paese, un'ora fuori di città. Non volevo che nessuno
mi accompagnasse; volevo essere sola a
visitare la tomba di mia nonna. Sognavo questo momento da quando ero
venuta l'ultima volta. Quando avevamo ricevuto la notizia della sua morte, io e
mia madre eravamo partite da Toronto. Facemmo appena in tempo per il
funerale.
Sentii tanta tenerezza e
compassione per lei che aveva passato tanti anni da sola in questo paese
dimenticato. Uno dopo l'altro i suoi figli l’avevano lasciata per andare in
America. Mia madre era stata l'ultima ad andare via. Ricordo il giorno in cui
lasciammo l'Italia: mia nonna non poteva più controllarsi, e piangeva
disperatamente senza rassegnarsi. Gridava verso mia madre dicendo che voleva
morire. Non potevo sopportare tutto quel
dolore che lei sentiva. Uno dei parenti
portò via mia nonna appena prima che partissimo per la stazione ferroviaria.
Mia mamma le aveva promesso che quando fossimo stabiliti in Canada, lei ci
avrebbe raggiunti. Alcuni anni dopo ebbe un infarto, e alla fine morì dopo
qualche anno.
Nulla era cambiato nel piccolo
paese. Erano rimasti solo gli anziani, i loro figli erano tutti
andati via. Il cimitero, circondato da un alto muro di pietra, non è molto
grande, è più piccolo di un campo
sportivo. Il cancello di ferro è sempre
aperto, e il custode del cimitero abita a poca distanza di lì.
Una voce sottile interruppe la
mia contemplazione: "Signora, troverai l'acqua per i tuoi fiori dopo le
quattro," mi disse. "Peppino, il custode del cimitero, è andato a
casa, e poi fa sempre un pisolino." La donna continuava a camminare verso
di me; vestiva tutta di nero, con uno scialle avvolto intorno alla testa e alle
spalle per proteggersi da un venticello fresco.
Piano piano si avvicinò e mi si mise di fronte ; il suo volto
dall’apparenza così fragile scopriva la sua età avanzata. Doveva avere circa novant'anni.
I suoi occhi stanchi erano piccoli, le sue guance erano infossate per i denti
mancanti. Mi sorrise, senza poter controllare il tremolìo della testa. "Da dove vieni? ", mi chiese. Io
non risposi; i miei pensieri erano altrove, e non desideravo parlare con
nessuno.
Mi prese per un braccio: "Di
chi sei figlia ?" insisteva. Io mi voltai e risposi: "Mi scusi,
signora, vengo dal Canada, e sono qui per visitare la tomba di mia nonna, ma
lei non è più lì dove l'abbiamo seppellita." Io non potevo continuare a
parlare, e cominciai a piangere. Mi sentivo presa da un tremito, e avevo
freddo. Lei prese il suo scialle e me lo
mise gentilmente sulle spalle. Ci
sedemmo sui gradini del mausoleo mentre lei parlava di Peppino e di come si occupasse del cimitero. Aveva ancora tanti
capelli bianchi, forse mai tagliati, riuniti in una treccia tutta avvolta
dietro la testa, fermata con tante mollette per tenere i capelli in
ordine.
La sua mano tremava mentre si
asciugava una lacrima, e mi parlò di suo figlio. "Mio figlio," esitò
per un momento, "e mio fratello Giuseppe partirono tanti anni fa per
l'America. Quando vedo delle persone sconosciute vengo a vedere, con la
speranza che siano loro, o qualcuno
della mia famiglia." Mentre
continuava la sua storia, l'orologio del vecchio campanile suonò le
quattro. La vecchietta si alzò, mi fece
una carezza e mi disse. "Aspetta,
chiamerò Peppino. Lui ti mostrerà dove è tua nonna." Mi lasciò stupita;
poi si avviò camminando dietro dei monumenti verso l'uscita e svanì. Mi accorsi che avevo ancora il suo scialle
sulle spalle. Pensai che glielo avrei dato più tardi. L'aria era ancora un po'
fresca; presi lo scialle, me lo strinsi più addosso e aspettai. La stoffa emanava un forte odore di muffa.
Non sapevo il suo nome; mi era sembrata così sola.
Peppino venne più tardi e quando
mi vide si agitò. "Signora,"
gridò tutto serio e rigido, "non ho le chiavi del mausoleo. L'ufficio è
chiuso. Deve tornare domani. "
Si accorse di quanto fossi agitata nel momento in cui feci un salto da dove
ero e mi trovai faccia a faccia con lui. Gesticolando, e nel mio dialetto
romano , gli dissi. "A me, signor
Peppino, nun me frega niente de visità
er mausoleo. Voglio solo sapè do’ avete messa
mi' nonna!"
"Sua nonna?", lui rispose.
"Sì, mi' nonna era qui!" gli dissi indicando il posto dove era
stata seppellita. "Perché nun c'è più? Ma chi v'ha dato il diritto di
spostarla?" chiesi piangendo.
"Mo' ho capito, questo succede a sti' poveri morti quanno nun c'è
nessuno p'accudilli?"
Peppino si tirò indietro mentre io mi avvicinavo. "Io ero qui il giorno che l'abbiamo
seppellita." dicevo singhiozzando.
" Ero qui sette anni fa! Lei da sposata faceva Massari." Non potevo continuare, e mi lasciai cadere
vicino al muro del mausoleo. Mi sedetti e
mi coprii il viso con le mani per non far vedere che piangevo; mi
sentivo sola e scoraggiata.
Peppino non seppe cosa dire o
fare, aveva paura di avvicinarsi, provò a parlarmi mantenendo la distanza, "Per
favore, Signora, sono solo cinque anni che lavoro qui, però, penso che sua
nonna fosse sposata con Anato?"
Alzai la testa e smisi di singhiozzare. Avevo capito bene? Sapeva il nome
di mio nonno... "Ha detto
Anato?" dissi incerta, sperando di
aver capito bene.
"Sì, Anato era sposato con Maria
Rosa Tebberno," rispose con sicurezza.
Sospirai e non mi mossi, restando muta. Mi guardai intorno, ma tenevo
d'occhio Peppino. Aspettava una mossa da me, o magari un'altra domanda. Era
preoccupato, magari chissà cosa avrei fatto.
Il sole del pomeriggio era ancora molto caldo. Dove
eravamo noi, l'ombra dei pioppi copriva
quasi tutto il cimitero, facendo sentire un fresco umido. Il cinguettare degli
uccelli mi dava fastidio, e anche i rumori intorno mi agitavano. Da lontano si
sentiva vagamente il suono dei campanacci al passo delle bestie,
sicuramente mucche che tornavano dalla campagna.
Ho tanti ricordi di questo paese
dimenticato. Venivo qui ogni estate, ma non era il mio posto preferito. Peppino non mi rivolse la parola fino a quando
non mi calmai; allora si mise seduto vicino a me. Sapeva dei miei nonni, da dove venivano, e mi
disse anche il perché la nonna non era più
seppellita in quel posto.
"Qui in Italia non c'è posto, non c'è abbastanza terra per lasciare tutte
le persone morte nello stesso posto per l’eternità. Per legge, dopo almeno dieci anni il corpo viene
tolto."
"E dove lo mettono?" domandai
.
"Nell'ossario, lì," e indicò con un dito la chiesuola dove l'angelo piangente posava.
Mentre camminavamo verso la
chiesuola Peppino mi spiegò come esumano le persone, e dove finiscono le ossa:
esse vengono messe in una piccola cassetta di
marmo che poi viene sigillata per sempre. Questa viene messa nella
cripta sotto la chiesuola, senza nessun ordine specifico.
Mi sentii imbarazzata. Perché
mia madre non mi aveva detto nulla di tutto questo? Non avrei mai immaginato una cosa del genere
in Canada. "Nessuno mai scende nella cripta, se non quando è necessario metterci la cassetta con
le ossa esumate", mi spiegò Peppino. Mi sentii un po’ spaventata.
"Posso entrare?" chiesi.
Peppino alzò le spalle e disse
"Se vuole, ma è buio laggiù."
La vecchia porta di legno era scolpita a mano. Quando entrai vidi che c'era un altare con sopra la fotografia di
San Rocco, il santo del paese. L'altare
era circondato da tanti vasi di fiori e da candele accese; c'era una
finestrella da cui filtrava un po’ di luce.
I gradini che portavano al piano di sotto erano tutti consumati e
spaccati. "Lascio la porta aperta,
così entra un po’ di luce " mi disse mentre scendevamo. Peppino continuava
a parlare; parlava della sua famiglia che da anni si occupava del cimitero, e
di quanto fosse orgoglioso del suo lavoro. Ero almeno due o tre gradini dietro
di lui e quando arrivò alla fine della scala non riuscii più a vederlo per il
buio.
Mi fermai per dar tempo ai miei
occhi di abituarsi al buio. Peppino si fermò davanti alla porta, fissando l’interno di quella stanza chiamata ossario.
"Si vedono solo le cassettine",
spiegava, mentre scendevo vicino a lui. "Sono tutte una sopra l'altra.
Ognuna ha il nome, la data di nascita e la data della morte."
Non riuscivo a credere ciò che stavo vedendo. Questo sepolcro era scuro, e
nell'aria si sentiva odore di muffa. Pareva una stanza dimenticata, dove anni
prima un bimbo aveva giocato con dei cubi mettendoli uno sopra l'altro… e poi
li aveva lasciati intatti.
"Pensa che potrei trovare mia nonna , signor Peppino?" chiesi, sapendo già la sua risposta.
"È quasi impossibile, ma
sua nonna è qui, signora. Sono tutti qui", mi rispose con tenerezza. Peppino aveva capito quanto fossi
dispiaciuta. Mi voltai di scatto e salii le scale frettolosamente, commentando
sotto voce sulla stupidità delle loro leggi. Fanno sparire i nostri cari , e
poi quello che rimane lo mettono in una
cassetta per poi buttarla in un tomba
con tutti gli altri.
"Ah, io questo nun l'accetto," dissi mentre scuotevo la testa.
"Come pò esse complicato a mette ste cassette n'ordine affabetico? Ma
magari mettetece l'anno de nascita o de
morte, no?", dissi furiosa.
Mentre con furia gesticolavo non
mi ero accorta dei fiori che ancora avevo in mano. Non avevo nessun posto dove
metterli, e si stavano seccando. Peppino
manteneva la distanza, e mi parlò solo dopo che mi fui calmata. " Se
vuole, i fiori li può mettere nella
chiesuola, sull'altare. Lì vengono messi i fiori per coloro che sono stati
esumati", mi avvisò. Feci cenno con la testa e chiesi una candela.
"Cinquemila lire, Signora."
disse in fretta. Cinquemila lire
erano il controvalore di quattro dollari.
"Bene." dissi, e pensai a quanto ci guadagnava su quelle
cinquemila lire.
Accesi la candela, e di nuovo
piansi silenziosamente la morte di mia nonna, sentendomi colpevole per
i suoi figli che l’avevano lasciata, e anche nel rendermi conto della
realtà della vita, che si conclude nella morte. Volevo correre senza voltarmi,
e trovare un posto dove poter piangere
da sola.
Peppino mi accompagnò fino alla macchina; presi la borsa e gli detti
cinquemila lire. Mi toccai le spalle per
prendere lo scialle che mi aveva prestato la vecchietta, e mi accorsi che non
l'avevo più.
"Avevo lo scialle che mi aveva prestato la vecchietta che è venuta a
chiamarla" , dissi a Peppino,
"forse mi sarà caduto dalle spalle."
Dubbioso mi rispose: "Signora, nessuno mi è venuto a cercare, ho visto
la sua macchina e sapevo che c'era qualcuno nel cimitero; a parte che è raro
che gli anziani vengano qui, è un po’
troppo lontano dal paese."
Mi ero seccata di lui e troppo stanca per spiegare della
vecchietta. Gli chiesi di guardare
dentro la chiesuola, sicuramente doveva essere lì. "Per favore
restituiteglielo, sono sicura che ritornerà. E un'altra cosa, ringraziatela da
parte mia", conclusi. Salii in macchina e partii.
Quelle due ore erano state un
trauma. Mentre guidavo per tornare in città, non volevo pensare alla
vecchietta. Volevo godermi il panorama e ricordarmi i posti; quando ero bambina
venivo a trovare mia nonna al paese, partendo da Roma con la corriera di
Zeppieri.
Non sapevo il suo nome, solo
che il figlio e un fratello di nome Giuseppe erano andati in America tanti anni prima. Mi dispiaceva di non averle personalmente
restituito lo scialle . Quando arrivai
in città chiamai mia madre a Toronto; erano le 7 di sera, a Toronto era ora di
pranzo. Quando rispose al telefono
sicuramente avrà pensato che mi fossi drogata.
Le spiegai quello che era accaduto, e per un po’ non disse nulla.
Mia madre sapeva dell'esumazione, per lei era una
cosa normale, e nel corso degli anni si era dimenticata di dirlo. Comunque mi dette un po’ di sollievo quando
mi disse che mandava dei soldi alle suore del paese per accudire la chiesuola ,
e metterci dei fiori almeno il giorno
dei morti.
Non avevamo più voglia di
parlare e lei era troppo lontana per consolarmi, ma prima che chiudesse il
telefono le domandai, "Ma’, come si chiamava tuo zio, il fratello di
nonna, quello che partì per andare a Pittsburgh tanti anni fa?
"Giuseppe" , rispose.
*Pubblicato per la prima volta in
Canadian Woman Studies/les cahiers de la femme 20 (1) (Primavera 2000)
Bruna Di Giuseppe-Bertoni è arrivata in
********
EXHUMED
With flowers in my hand, I walked up the path leading to my grandmother’s grave. As I stood in front of the headstone gazing at the inscription, I suddenly found I was reading a name that I didn’t know. When I looked at the oval picture frame, the photograph inside was not my grandmother. I was certain that where I stood, next to the mausoleum of the “Padacci” family was the spot where we had laid my grandmother to rest. Her grave was the first on the right and only two other headstones were beside her. Next to the last grave, there was a crypt with an angel on it. The weeping angel was something I wouldn’t forget. This marble sculpture, larger than life, of an angel bringing his hands to his face, beautifully captured the essence of grieving for the dead.
“God, where is she?” I said out loud, “who has been put here in her place!” Is this what happens to those people whose family is not here to tend to the grave? I wondered whether they had sold the plot to someone else thinking that no one would be back to visit her. For a moment, I reflected. Doubting my memory and feeling uneasy, I began to look around. “Maybe this is not her grave,” I murmured. Seven years is a long time to remember the exact location of a headstone.
I had driven on my own to this small village about one hour outside the city. I wanted to be alone to visit my Nonna’s grave. I was convinced that she had been buried in this spot. There was no mistake.
I dreamed of this moment since the last
time I was here. We buried her here in this cemetery seven years ago. When we
received word of her death, my mother and I flew from
Nothing had changed in the tiny village. The old people were the only ones left; their children had all gone. The cemetery is smaller then a football field in size, surrounded by a high stone wall. The iron gates are always opened and the undertaker lives only five minutes away.
It was a voice from a distance that broke
my contemplation: “Signora, you cannot get any water for your flowers
until after
She tugged at my arm. “Whose daughter are
you?” she insisted. I suddenly turned around and replied, “I’m sorry Signora.
I came from
Her trembling hand wiped tears from her
eyes, as she began to tell me about her son. “My son,” she hesitated, “and my
brother Giuseppe, left many years ago to go to
While she
continued with her story, the clock on the old tower struck
“Wait, and I’ll get Peppino. He’ll show you where your grandmother is.” She left me sitting there dumbfounded. As she vanished around the bend behind some monuments, I realized I still had her shawl. I figured she could get it back later. It was a little chilly. I took the shawl and wrapped it around me and waited. I could still smell her musky scent from the shawl. I didn’t even know her name. She seemed so lonely.
Peppino came a short while later, and when he saw me, he became agitated. “Signora,” he yelled standing erect and serious. “I don’t have the keys to the mausoleum. The office is closed now. You’ll have to come back tomorrow!”
He realized how upset I was when I took a jump and stood right in front of him. “ I don’t want to visit the mausoleum Signor Peppino. I want to know where they put my grandmother!”
“Your grandmother?” he asked.
“Yes, my grandmother. She was right here,” I said, pointing at the first grave. “Why was she moved, and by whose authority?” I asked with tears in my eyes. “Is this what happens to dead people if they have no one left here to attend to their grave?”
Peppino took two steps back, as I got closer to him. “I was here the day we buried her." I sobbed. “I was here seven years ago! Massari was her married name.” I couldn’t continue. I sank down near the wall of the mausoleum and cried uncontrollably.
Peppino didn’t know what to say or do. He was afraid to even get too close. He tried from a distance to talk to me. “Please Signora, I’ve worked here for only five years. Yet, I think
your Nonna was married to Anato?”
I lifted my head and stopped sobbing. Had I heard correctly? He knew my grandfather’s name. “Did you say, Anato?” I mumbled.
“Si, yes, Anato was married to Maria Rosa Tebberno.” I replied with certainty.
I sighed and stood still to listen to him carefully. He continued, “By law, people are only buried no more then ten years. There’s not enough room for everyone.”
“So, where do you put them?” I questioned him.
“In the ossuary over there.” He said pointing at the crypt, where the angel was.
I was mortified. “Why didn’t my mother tell me this.” I could never dream of anything like this happening back home. As we walked toward the crypt, Peppino explained the way they exhumed people. They put the bones in a little marble box, and seal it forever. It is placed in the
basement of this crypt in no specific order. “Nobody goes down there, except to place new boxes once a body is exhumed.” He explained. It sounded gruesome.
“Can I see inside?” I asked. He shrugged his shoulders and said, “if you want. It’s dark down there, though.” The dark wooden door to the crypt was hand-carved; as you entered, there was an altar with pictures of St. Rocco, patron Saint of the village. Vases full of flowers and lit candles were everywhere.
The stairs leading to the dark basement were cracked and worn. “I’ll leave the door wide open so that we can see the stairs.” He told me as we made our way down. Peppino walked in front of me talking constantly, giving me the history of his family and how proud he was of his job. I followed him at a distance. Once he reached the bottom of the stairs, I couldn’t see him anymore. I stood still part way down until my eyes could get adjusted to the dark. Peppino stood in front of the door looking into this so called ossuary.
“All you can see are tiny little boxes,” he explained, as I made my way down next to him. “All are on top of each other, marked with their name, the year they were born and the year they died.” I couldn’t believe my eyes. This sepulcher was a dingy, dark room that smelled of mold. It seemed like a forgotten room where a long-ago child had played with blocks, piling one on top of another, and then left them untouched. “Do you think we could find my grandmother Signor Peppino?” I asked, knowing the answer already.
“It’s virtually impossible, but she is down here Signora. They are all down here,” he replied.
Peppino knew how disappointed I was. I stormed out of the crypt making nasty remarks on the stupidity of their laws. Exhuming loved ones, putting their remains in a bone-urn and laying them in a mass grave. “I can’t accept this!” I said shaking my head. “How can it be so complicated to stack those boxes in alphabetical order? Or even by the year they were born, or died?” I asked him with anger.
I no longer paid attention to the bouquet of flowers I was holding as I was gesticulating.
I had no place to put them, and they were wilting. Peppino kept his distance. When I finally stopped sobbing he spoke. “You can put your flowers inside the crypt, in the chapel on the altar. That’s where everyone places them for those who have been exhumed.” I nodded my head and asked for a candle.
“Five thousand lire, Signora.” He quickly told me. Five thousand lire are the equivalent of about four dollars. “Sure,” I said.
Thinking how much he would make on that 5,000 lire. I took the candle and lit it. In silence I cried, mourning my grandmother all over again, feeling guilty for her children leaving her, and facing the reality of life which is mortality. I wanted to leave, run and never look back. Find a place somewhere and cry all by myself.
Peppino walked me to the car, and I reached for my purse and gave him the 5,000 lire. I touched my shoulders as I remembered the shawl the old lady gave me; I didn’t have it anymore. “I must have dropped the shawl that the old lady gave me,” I said to Peppino,“ the one that came to get you.”
Puzzled he replied, “Signora, no one came to get me, I saw your car parked here and I knew someone was on the premises, besides, old people seldom come down here. It’s too far from town.”
I was too annoyed with him and exhausted to even try to explain to him about her. I asked him to please check the chapel and that I was sure I had left it there. “Please return it to her, I’m sure she’ll be back later. And one more thing, thank her for me.” I concluded, and drove off.
Those few hours were an ordeal. Driving back to the city, I paid little attention to making
sense of the old
lady. I didn’t know her name. All I knew was that her son and a brother named
Giuseppe left years before to go to
Both of us were without words after that.
She was too far away to be able to console me. Then, out of the blue, I asked her,
“Ma, Nonna’s brother, your uncle who went to
“Giuseppe,” she replied.
(First published in Canadian Woman Studies/les cahiers de la femme 20 (1) (Spring 2000)
Bruna Di Giuseppe-Bertoni came to