Peonie di Giada coi colori delle
foglie d’acero
Qualche considerazione sulla
narrativa di Wayson Choy
Questo mio saggio verte su uno dei lavori più
significativi nell’opera narrativa di Wayson Choy : La Peonia di Giada
(The Jade Peony). Come
spero diventerà ovvio a quanti avranno la pazienza di seguire questo abbozzo di
discorso, non è mia intenzione dilungarmi più di tanto sui legami genetici che
il lavoro di Choy intrattiene colla letteratura sino-canadese nel suo insieme;
né tantomeno credo utile analizzare le relazioni intertestuali ovvero le
influenze esercitate da altri testi di questa tradizione sul romanzo in
questione. Certamente, alcune osservazioni di carattere generale intorno al
contesto ed alla costruzione della letteratura sino-canadese possono aiutare il
lettore ad avvicinarsi a questo avvincente romanzo; tuttavia, credo sia
fuorviante – per non dire
fondamentalmente errato - da parte del critico (oltre che enormemente
frustrante dal punto di vista dello scrittore) voler ricondurre un’opera
letteraria così ricca e – diciamolo pure – canadese ed internazionale – entro i
limiti sempre più angusti della letteratura canadese certo, ma col trattino.
A questo proposito, conviene citare
quanto affermato da Choy stesso :
I think all minority cultures have to go through a
period where they are in a category, and I believe that you cannot escape that
because you have not been published before. So [when] your minority group
begins to be heard, of course it has to be categorized, it's inescapable. But
after that, I think we're entering this new period now where good writing is
what will matter, and what will last and what will be reviewed. I was very
lucky because my book… was a popular book as well as a critically successful
one. But the point is they also said that it was an Asian story, an Asian
Canadian story. Now I tell everybody, it's a Canadian story, period. And there
are other Canadian stories, and we want to listen to new voices. The categories
don't bother me because in the end, they will simply be a historical footnote.
The good books will last, whatever the footnote. And I would like to think I am
writing books that can be read at any time, and [that] they are stories that
can be read by everyone who believes that the human heart must survive the
drama of living 1.
Infatti, come è palese che esista un legame tra le varie letterature degli
« altri » e delle varie minoranze etniche (« visibili » od
« invisibili »); allo stesso modo, è innegabile che tutte, in una
certa fase della loro evoluzione, rappresentino la dolorosa esperienza
dell’emigrazione. Ciò che bisogna stigmatizzare è piuttosto il fatto che esse
vengano ridotte esclusivamente a tale tematica e che, in secondo luogo, si
neghi loro ogni altro valore epistemologico, azzerando il piacere della lettura
(mettendolo tra parentesi, per così dire), rinunciando ipso facto alla
possibilità di scoprire cosa vi possa essere di positivamente sorprendente nei
loro testi. La prima forma di malinteso sembrerebbe nasca dalla balzana idea
che l’emigrazione sia qualcosa di estraneo all’essenza stessa di questo paese e
che la Vancouver delle storie di Choy sia piuttosto Marte o Canton. Riguardo al
secondo punto, vorrei spiegarmi facendo riferimento ad un articolo di critica
letteraria apparso di recente sulle pagine di un quotidiano torontino, una
breve analisi di un romanzo scritto da una scrittrice cino-canadese. L’autore,
onestamente non so bene con quanta coerenza rispetto alle proprie consuetudini,
dedicava gran parte dello spazio a propria disposizione a descrivere il tema
dell’opera di questa scrittrice : la vita in una Chinatown canadese.
Ovviamente questo recensore aveva poco o nulla da dire sulla fedeltà storica di
tali descrizioni, ovvero sulla loro capacità di creare emozioni, suscitare
domande e curiosità (insomma, su tutto quanto dovrebbe evocare la letteratura).
Al sommario-riassunto faceva seguito una breve quanto negativa conclusione sul
fatto che il romanzo fosse sostanzialmente scritto male! Ci viene quindi da
pensare che l’essere « etnico » del romanzo analizzato dal recensore
dello Star fosse la ragione principale (se non l’unica) per la stesura di
questo articolo; il suo essere (a suo dire) un fiasco da tutti gli altri punti
di vista sembra quasi secondario… .
Ora un anonimo
recensore commenta a proposito
La peonia di giada - pubblicato nel 1995 - è l’opera prima di Wayson
Choy. La genesi di questo romanzo e del suo esotico titolo – che trae le
origini da un racconto scritto molti anni prima – è narrata con attenta
passione da Choy stesso in un’intervista rilasciata anni fa a questa rivista 3. Il periodare breve e
nervoso di Choy s’adatta in maniera e misura essenziale alle varie voci dei
diversi io narranti del romanzo : Jook-Liang, Jung-Sum e Sek-Lung. La
trama si dipana a Vancouver ed il primo riferimento cronologico è l’anno 1933.
Il romanzo è costituito da tre parti distinte
recanti come titolo i nomi di vari membri di una famiglia sino-canadese,
proveniente apparentemente dalla provincia del Guangdong: Jook-Liang (Only
Sister); Jung-Sum (Second Brother); Sek-Lung (Third Brother). Tra gli altri
membri del nucleo familiare sono da aggiungere la nonna (ovverosia Poh-Poh); un
fratello maggiore a nome Kiam; il padre e la moglie di secondo letto,
semplicemente indicata come « Stepmother » 4. In realtà, codesta matrigna è la madre biologica
della protagonista e dell’ultimo nato, mentre il fratello Kiam è figlio della
moglie di primo letto, e Jung Sum è figlio adottivo. La prima parte della
storia ha per protagonista Jook-Liang, la sola bimba della progenitura. Appare
chiaro fin dall’inizio che il complesso reticolo affettivo cui s’è accennato,
aldilà del suo contesto referenziale storicamente verosimile, sembra creato
apposta per ingigantire l’effetto di stupore che una tale situazione doveva
(agli occhi della protagonista) creare nei locali – così moderni e così poco
avvezzi all’arcaica complessità cinese.
Ironicamente è proprio la nonna – custode della tradizione – ad imporre con l’autorità matronale che nessuno
le contesta (« That was the order of things in China ») una
semplificazione dell’onomastica parentale : « Poh-Poh insisted
we simplify our kinship terms in Canada, so my mother
became stepmother » (p.6). Tuttavia ciò che prima facie sembrerebbe
uno snellimento terminologico, in realtà, come vedremo, oltre a
delegittimare la nuova sposa, reitera la sensazione di umiliazione se non di
colpa che la nonna vorrebbe instillare nella protagonista (quanto sarebbe stato
meglio un maschio! ). Questa peculiare rettificazione dei nomi (pace
Confucio) si collega anche alla questione della lingua e dei vari
« dialetti » parlati da familiari e conoscenze dei protagonisti. Tutto ciò è introdotto fin dalla prima pagina allorquando, parlando
della « matrigna » si afferma che essa « … came with no
education, with a village dialect as poor as she was ». La questione dei vari livelli di « nobiltà »
linguistica dei « dialetti » si ripropone qualche pagina più in là
allorquando la nonna è descritta come una persona linguisticamente versatile e
quindi « ricca », per via del fatto che sa esprimersi in diversi
dialetti, ognuno scelto ed adatto ad un contesto specifico. Tale forma di
poliglottismo le viene dal fatto che durante la sua infanzia e giovinezza aveva
servito in qualità di damigella di compagnia presso una ricca famiglia di
rifugiati dalla Manciuria (Cina del Nord-Est). Naturalmente, la questione della
gerarchia linguistica - di per sé assai facile da comprendere per chi viene da
aree ad alta varietà linguistica o dialettale - risulta di contro estremamente
problematica per la giovane protagonista del romanzo la quale si trova ad avere
come unico termine di comparazione l’inglese, la lingua della maggioranza,
ovverosia un monolite al quale aspira ad integrarsi al più presto possibile. Vi
è poi una pletora di vicini tra i quali la prima ad essere menzionata è la
signora Lim. Tuttavia è interessante notare come il primo personaggio ad essere
identificato nel romanzo (letteralmente nell’incipit « The old man first
visited our house when I was five, in 1933 ») sia qualcuno che non ha
alcun legame di parentela con la famiglia al centro della narrazione : un
anziano signore il cui unico scopo è quello di poter raccogliere la
documentazione nonché i fondi necessari per poter tornare in Cina, al villaggio
natio, realizzando quindi il sogno di
potere essere seppellito in patria. L’anziano signore riuscirà infine a
lasciare Vancouver ma, colle sue visite fugaci alla casa dei protagonisti, avrà
stabilito un legame affettivo e culturale con la piccola protagonista . Se
l’aspetto affettivo trova una propria giustificazione nel fatto che l’anziano
signore rappresenti per Jook-liang il complemento maschile mancante (un simil nonno) da affiancare
idealmente alla severa quanto « bizzarra » nonna paterna, dal punto
di vista culturale, invece, esso rappresenta una sorta di Cina muta (per
parafrasare l’immagine del grande scrittore cinese Lu Xun), imperscrutabile e
misteriosa. Non a caso, cercando di « tradurre » o
« ricondurre » il senso di shock generato nella sua psiche di bimba
dai tratti un po’ inquietanti dell’anziano cinese d’oltremare, Jook-Liang
decide, tra lo smarrimento dei familiari, di identificarlo con Sun Wukong – lo
scimmiotto indimenticabile protagonista del classico Viaggio in Occidente.
Lungi dal considerare offensivo tale epiteto, l’anziano si lega d’un affetto
vieppiù profondo verso la fanciulla. Appare evidente quindi che l’anziano
rappresenta agli occhi della bimba una sorta di personificazione di quel mondo
misterioso ed irraggiungibile che coincide colla patria d’origine della sua
famiglia. D’altra parte, ed in ciò sta a nostro avviso la pregnanza simbolica e
la positiva ambiguità semantica del testo in questione, l’anziano cinese
rappresenta al tempo stesso, agli occhi della fanciulla, un contraltare magico
al mondo misterioso e ridicolmente colmo di divieti, interdizioni e leggi non
scritte degli adulti.
Un aspetto chiave tra le varie problematiche
costitutive la trama di questo romanzo è dato dalla messa in discorso della
cultura nord-americana e della ricezione della stessa da parte dei vari membri della
famiglia protagonista, in particolar modo i fanciulli. Jook-Liang commenta con
sollievo che un giuoco di guerra, regalo d’uno zio, aveva distolto i suoi
fratelli dal cooptare la piccola in attività ludiche emulative delle storie di
Tarzan :
Third Uncle had given Kiam THE ENEMIES OF FREE
CHINA game for his tenth birthday. […] The Warlord was one of the three
Enemy-of-China ``heads.`` The other two were a Communist and a Japanese soldier
named Tojo. All three had ugly yellow faces, squashed noses and impossible buck
teeth. It was a propaganda toy to encourage overseas Chinese fund-raising for
Free
Colpisce qui come il regalo dello zio, mirante ad
istruire (politicamente) dilettando i piccini, sia al tempo stesso
implicitamente messo in contrasto con un elemento della cultura del
paese-continente d’adozione - cultura doppiamente nuova tanto dal punto di
vista formale (visuale), che da quello dei contenuti – e cioè con le storie
esotiche del superuomo bianco, uomo scimmia con annessa consorte e scimmia
propriamente detta. La voce della narratrice – ora indefinitamente matura –
chiarisce la natura propagandistica del regalo dello zio. Ma è chiaro che nel
microcosmo infantile del ricordo, tanto Tarzan quanto le tre orrende teste di Free
China formano un unico contesto naturalmente ibrido agli occhi della
protagonista. Ed è esattamente attraverso questo filtro che, colla preziosa
collaborazione della nonna, la piccola entrerà in relazione coll’anziano
signore. Ecco la descrizione dell’occasione in cui Jook-liang fa conoscenza
coll’anziano di nome Wok Suk:
A mountain opened, and here, right in our parlour, staring back at me, stood Monkey, the Monkey King of Poh-Poh’s stories, disguised as an oldman bent over two canes (p.18).
La piccola è convinta del fatto di essere (forse
con l’eccezione della nonna), la sola persona a conoscenza della
« vera » identità di quello strano ospite, maestro dei travestimenti
e della furbizia, sorta d’Ulisse cinese. Ciò che agli occhi del padre sembra un
comportamento irrispettoso d’ogni etichetta da parte della piccola, viene
invece accolto con profonda simpatia da parte dell’anziano. Questi infatti
instaura una sorta di complicità ludica con Jook-Liang : « M-pai
Mau-Lauh Bak […] You not scared of Monkey Man » (p.25). Nella
fantasia della piccola, l’anziano re delle scimmie - il quale la colma di
regali e mai la delude - è associato ad altri simili eroi occidentali quali
Robin Hood. Ma il fatto che l’orizzonte
magico-superstizioso della vecchia nonna si mescoli a quello altrettanto magico
della piccola si esplica chiaramente poche pagine più in là :
After Jung took Grandmother and me to the Lux
to see my first Tarzan movie, Poh-Poh announced that Cheetah was another one of
the Monkey King’s disguises. It was a way for the Monkey King to be with his
monkey tribe and still be in touch with Buddha’s commands, for Monkey could not
do without human company, black or white or yellow. After all, people were
closest to Buddha, Poh-Poh told me. (p.23)
Il fratello maggiore Kiam obbietta che quanto affermato dalla nonna non
sono altro che delle storie, esattamente
come quelle raccontate dalla Signora Bigley sul biondo Gesù che camminava sulle
acque, ovvero quelle di Babbo Natale. Ciò sembrerebbe chiudere la porta
alla credibilità della nonna ed al
valore conoscitivo del suo patrimonio culturale. Ma in realtà è ben possibile
trarre un senso affatto diverso e cioè, che i vari membri della famiglia
cerchino di ritagliarsi uno spazio nel nuovo contesto culturale nel quale si
trovano a vivere (crescere od invecchiare). Ognuno in fondo cerca di afferrare
una sorta di similarità o comparabilità tra ciò che si è lasciato alle spalle
(la Cina) ed il mondo nuovo che si trova davanti (Vancouver, Canada). Nel caso
di Kiam, si tratta di una somiglianza per così dire « negativa » (l’assenza di scientificità delle storie,
cinesi o hollywoodiane che siano). Nel Caso della nonna (e della nipotina), si
tratta invece della convertibilità di tali racconti. Che poi il narrare la
propria esperienza – la propria storia – sia il modo in cui si viene a capo di
ogni trauma e di ogni cambiamento (e quella degli emigranti ne è particolarmente
pregna) è fatto assodato da mettere a merito di tutte le nonne e dei loro
anziani conoscenti. Tuttavia, allorquando la piccola Jook-Liang osa compararsi
o per meglio dire abbigliarsi come l’eroina dell’epoca – la bionda e bianca
Shirley Temple, la nonna, pur assecondandola nel prepararle fiocchi ed orpelli
varii, esclama nel suo ``chinglish`` : « Aiiiiyaah! How one
Always war in
In questo breve dialogo, nel suo linguaggio
ieratico-sgrammaticato la nonna chiarisce alla bimba come, non solo non possa
aspirare ad essere quale Shirley Temple, ma anche come la sola realtà
significativa non sia quella in cui vive (il Canada della pace) ma quella dalla
quale la famiglia è partita (la Cina in guerra). A Jook-Liang si chiede quindi
di rinunciare ad aspirare all’identità che sta acquisendo nella vita di tutti i
giorni e di mantenere invece quella del passato mitico, dell’essenza cinese. Il
mancato uso degli aggettivi (« Canadese » e « Cinese »)
sottolinea ancor più la logica soggiacente al discorso della nonna : I
cinesi espatriati sono la Cina. Inoltre, tale distanza appare ovvia agli occhi
- o per meglio dire nel linguaggio - della nonna. Infatti, come per Heidegger
anche per Poh-Poh, nomina sunt numina e quindi la sua refrettarietà
all’idioma locale, il suo esprimersi in Tosan-English s’accompagna anche ad una
diffidenza verso le canzonette ed i pezzi inglesi che associa a « bad-luck
chants ».
La ruvidezza della nonna viene però giustificata
nel prosieguo della narrazione quando la sua propria nascita è descritta come
un evento assolutamente negativo : una femmina, per di più di sgradevole
aspetto ed in cattiva salute. Ma il fatto che la nonna sopravviva e cresca
malgrado tutte le avversità e le costanti, immaginabili discriminazioni, la rende
una persona più forte e – agli occhi della narratrice – incline a fare del suo
sgradevole e costante scetticismo uno strumento di protezione apotropaico
scaramantico. Si tratta evidentemente ancora una volta - nella
razionalizzazione della voce narrante – di una sorta di educazione sentimentale
sui generis, il survival kit di ogni donna cinese della sua
generazione ed estrazione sociale.
L’amicizia tra l’anziano e la fanciulla si
concretizza spesso in giornate trascorse in compagnia – il sabato mattina come
pure il pomeriggio. Ad un certo punto, tra il serio ed il faceto, Wong Suk
confida alla piccola che essa rappresenta per lui « … my little girl, my
family » (p. 36). La
voce della matura narratrice spiega :
I was happy. I knew our adopted relationship
was a true one : Wong Suk would otherwise have been only one of the many
discarded bachelor-men of
La precisa percezione del comune senso di
marginalità nella quale Wong-Suk e Jook-Liang sono relegati sembra essere
dunque il collante della loro amicizia. Ora, come è noto, i già di per sé
problematici ricongiungimenti familiari furono resi praticamente impossibili da
due misure prese dal governo canadese, e cioè la head-tax (in vigore tra
il 1884 ed il 1943), ed il Bill 45, noto anche come Chinese Exclusion
Act (in vigore dal 1923 fino al 1947) 5. Wong-Suk rappresenta dunque nella
sua dolente esperienza - e financo nel suo degradato aspetto fisico – un
riuscito campione romanzesco di un’intera generazione di maschi cinesi
condannati alla dis-integrazione coatta, sgradito alla legge del nuovo paese e
sorta di fuori-casta solitario rispetto alla propria comunità di appartenenza.
L’adozione, per così dire, spirituale di cui parla la protagonista è in realtà
reciproca : mostrando di non temere l’anziano - ed anzi di poter provare affetto nei suoi
confronti - la piccola lo « accetta » come parte integrante del suo
mondo ed addirittura – data la sua marginalità in seno alla famiglia – come
elemento essenziale del suo universo infantile. Tale rovesciamento nella
gerarchia tradizionale dei ruoli sociali (Jook-Liang sarebbe tenuta ad una
duplice sottomissione rispetto a Wong Suk : sessuale ed anagrafica) è resa
possibile esclusivamente dalla particolarità del contesto culturale e politico
nel quale i due personaggi si trovano a vivere le loro esistanze.
La passione per il cinema è un altro fattore che
li accomuna. Le sale che frequentano – l’Odeon ovvero il Lux – sono descritte
con tono nostalgico e sognante (il soffitto dorato, gli angioli e –durante
l’intervallo – acrobati, giocolieri, maghi cantanti e ballerine. Tale contesto
da fiera di paese suscita evidentemente ricordi particolari nell’anziano e
nuove fantasie nella fanciulla. Ma è chiaramente nella magia delle ombre
elettriche (l’evocativa traduzione cinese di « cinema ») che il
legame tra i due personaggi si manifesta in maniera più intensa :
My favourite movies starred Shirley
Temple; Wong Suk liked Tom Mix, any old picture with Tarzan (to tell the truth,
he identified with the smart-alecky Cheetah) and we both liked Laurel and
Hardy. But we absolutely gloried in the
Se agli occhi della nonna e della bimba lo
scimpanzé di Tarzan evoca Sun Wukong – lo scimmiotto protagonista del Viaggio
in Occidente, la saga di Robin Hood non può non ricordare gli eroi
dell’antica Cina. Qui il pensiero va evidentemente ad un altro classico cinese
del periodo Qing : lo Shuihu zhuan, il quale narra le avventure dei
gloriosi, leali banditi di Liang Shanbo 6. Il giuoco comune al vecchio come alla fanciulla è quello
dell’identificarsi con un personaggio : Robin Hood o Cita per Wong;
Shirley Temple nel caso di Jook-Liang. Si noti qui la differenza fondamentale
rispetto al comportamento della nonna : essa non ha problema alcuno ad
identificare Cita con Sun Wukong, ma si oppone con forza – quasi con ostinazione – a che la piccola
adotti come modello – e voglia imitare – Shirley Temple. Wong-Suk, al
contrario, asseconda in toto tale giuoco delle parti al punto che - con
grande dispiacere della nonna – offre presenti di fiocchi e simili alla
piccola, di modo che questa possa realizzare il proprio sogno. Se è vero che il
meccanismo identificativo è qualcosa di universale (e non solo a livello
infantile) e che i fratelli maggiori di Jong-Liang optano per un campione di
saggezza e di cineseria quale Charlie Chan, è vero anche che nel caso della
piccola e di Wong Suk tale processo di immedesimazione assurge a motivo
ricorrente nella trama del romanzo e svolge una funzione di ben altra
importanza quanto a sviluppo diegetico. Infatti, si potrebbe ben dire che il
loro desiderare incarnarsi in vari personaggi cinematografici, questo loro
voler esser altri, non sia altro che la
conseguenza del loro non poter apparire, del non poter essere che dei dettagli
insignificanti e privi d’identità certa ai margini della comunità cinese come pure di quella
d’accoglienza. Purtroppo, tale costruzione di un sé bianco e candido, questo
porsi -come diceva Fanon -la maschera dell’Altro - si rivela presto – agli occhi stessi della
bimba – come un effimero sogno ed una velleitaria ambizione. Infatti, dopo
essersi agghindata nel modo più simile alla propria eroina cinematografica,
Jook-Liang scopre l’incommensurabilità del modello ambito :
My heart almost burst with expectation. I looked again into the hall mirror, seeking Shirley Temple with her dimpled smile and perfect white-skin features. Bluntly reflected back at me was a broad sallow moon with slit dark eyes, topped by a helmet of dark hair (p.41)
Solo il pensiero del suo eroe Wong Suk distoglie
la piccola dalla triste consapevolezza e la spinge a danzare per dimenticare di
non essere Shirley Temple, per accettarsi ed accettare delle sembianze così
diverse – e quindi percepite come meno « vere » o
« autentiche » rispetto al modello ambito. Si tratta in fondo del
primo momento significativo di crescita o di cambiamento da parte della
piccola. Il secondo – come vedremo tra poco – sopraggiungerà colla separazione
finale da Wong-suk. Questo avvenimento viene annunciato da piccoli segnali,
sfumati mutamenti nel comportamenteo dell’anziano :
Last week, Wong Suk had asked me, in
his best English, ``Liang, next time show me Shirley Temple. Show me so I never forget you, okay?`` (p.43)
Quasi per preparare la piccola alla prossima ed
ovviamente definitiva separazione, Wong Suk le chiede un ultimo spettacolo,
questa volta per non dimenticare. L’importanza della richiesta è enfatizzata
dal codice linguistico utilizzato dall’anziano « his best English ».
Infatti, i due personaggi si servono spesso del buffo chinglish come di
un codice segreto per commentare i film e le esibizioni dei loro eroi, a dire,
al fine di differenziare il loro mondo da quello banale e serioso del mondo
circostante. Ora, l’abbandono di tale codice alternativo da parte di Wong Suk
segnala al tempo stesso la necessità di chiarezza, l’importanza del momento e
la fine del giuoco. Un sabato, allo
scopo di chiedere assistenza al padre della piccola, Wong Suk si reca per
l’ultima volta nella residenza della famiglia di Jook-Liang,. Dentro ad un
pesante scatolone di cartone si trovano numerosi documenti – in inglese ed in
cinese – « all important papers ». Al commento un po’ sorpreso del
padre che si stupisce del fatto che Wong Suk abbia conservato una quantità così
ingente di documenti, l’anziano risponde : « Never know what
government do ». Su quelle usate
carte, quali « C.P. RAILROAD B.C. WORK PERMIT » si dipana la storia
fredda, referenziale - e magari a suo modo obbiettiva - della vita da coolie di
Wong Suk . Particolarmente interessanti sono due constatazioni della voce
narrante : la prima è che quel materiale « documented long-term
debts, now paid in full »; la seconda è che risalgono ad un epoca
precedente all’epoca in cui genitori della piccola emigrano in Canada. I debiti
incorsi dal vecchio Wong Suk, che questi finisce di redimere prima di tornare
in Cina, sono il frutto amaro dell’infame « head tax », la nuova
schiavitù imposta ai cinesi della sua generazione. Ed è proprio questo aspetto
generazionale che colpisce la fantasia della piccola perché i documenti in
questione testimoniano di un’epoca che a lei sembra remota e perduta nel tempo.
Tale aspetto infittisce l’alone di mistero di cui si circonda la figura di Wong
Suk : il magico scimmiotto delle fantasie di Jook-Liang cela dietro ai
vaghi riferimenti al passato un’esperienza che comincia a far crescere nella
piccola una più matura curiosità intellettuale per la vita segreta e mai
narrata del vecchio Wong. Il silenzio doloroso di questi è tipico – a dire del
narratore - della generazione di Wong :
I knew that every brick in
La Grande muraglia di riservatezza, la cinta della
fortezza del silenzio sono l’ostacolo che il romanzo e le storie di Choy si
ripropongono di scalare, superando quella naturale umana reticenza a ricordare
il dolore e le umiliazioni del passato. E dei personaggi complessi – a tutto
tondo – come Wong Suk – rendono nella trasfigurazione narrativa la verità delle
loro storie come nessuna storia ufficiale e nessun documento redatto nel freddo
idioletto brocratico dei numeri e delle date potrebbe. « ``In olden CPR day`` as Wong Suk
referred to the years after 1885 when he helped build one of the last sections
of the Canadian Pacific Railroad » (p.52-53). Ed è così che Wong Suk racconta infine una delle
sue storie di coolie, di come salvò la vita a Roy Johnson - uno dei
capimastro del cantiere di costruzione della ferrovia in Colombia Britannica in
cui lavorava. C’è ovviamente in questo aneddoto qualcosa di eroico, ed al tempo
stesso umile e quotidiano. Inoltre, il rifiuto di accettare regali e presenti
vari in cambio di quel gesto disinteressato definisce Wong Suk come un modello
di lealtà e virtù tradizionali. Ed è per questo motivo che la piccola
Jook-Liang apprezza il racconto ed osserva rapita le foto di quei tempi così
distanti dal suo presente e dal suo mondo. Tuttavia, se Wong Suk-lo Scimmiotto
apre le porte al racconto del suo passato canadese, la voce narrante sottolinea
con delusione che il vecchio amico poco o nulla rivela del suo passato più
remoto, di quel tempo che per le leggi paradossali dei meccanismi biologici
della memoria dovrebbe invece essere più vivo nel ricordo :
In spite of all his stories about
the past,Wong Suk really said little about his earlier times in old
Ma la voce narrante ci informa che la figura di
Wong Suk, come forse del resto quelle di tanti maschi cinesi della sua
generazione forzatamente celibi, era oggetto di salaci malizie, una
mini-leggenda metropolitana di Chinatown, dove si scioglievano nella banalità
delle chiacchere da bar o da cucina i nodi di un’esistenza da sempre marginale.
Alla fine della storia, quando la sagoma di Wong
Suk a bordo della Empress of Russia si fa sempre più vaga agli occhi della
piccola Jook-Liang, questa ancora non riesce a capacitarsi delle ragioni di
quell’addio – che è al tempo stesso una sorta di congedo da una pagina
fondamentale della propria infanzia. Ma la voce narrante chiosa : « I did not, then, in the days of
our royal friendship, understand how bones must come to rest where they most
belong.(p.72). Si noti la rassegnata
accettazione della logica della tradizione – che, secondo Lien Chao,
costituisce al tempo stesso uno dei temi principali della narrativa
cino-canadese :
The trope ``searching for the bones`` is widely
adopted by novelist Sku Lee, folklorist Paul Yee, poet Jim Wong-Chu, dramatist
Winston Christopher Kam, and others to recover the contribution made by the
Chinese railway workers. […] Various versions of this trope are developed
around the central image of ``the bones.`` They include ``searching for the
bones,`` ``the unburied bones,`` ``mending the bones,`` ``burying the bones,``
and ``visiting the bones.`` As an important methaphor and a powerful signifier
deriving directly from Chinese Canadian history, the ``bones`` of the community
ancestors live on to tell their untold stories in contemporary Chinese Canadian
literature 7.
Si potrebbe suggerire che la chiusa del racconto
aggiunge un nuova categoria alla casistica minuziosamente elencata da Lien
Chao, ovverosia il viaggio per riportare le proprie ossa a giacere sul suolo patrio. Tuttavia, ciò che
rende il racconto di Choy in qualche mode originale è il fatto che tale tematica
non viene feticizzata, ma piuttosto straniata dalla percezione infantile di
Jook-liang, assurgendo così ad uno status magico ed al tempo stesso naturale e
dunque fantastico.
La storia di Jook-Liang – Only Sister
occupa tre capitoli che costituiscono a loro volta la prima parte del romanzo.
La seconda parte di questa saga familiare ha come voce narrante Jung-Sum – Second
Brother. Quasi a collegarsi tematicamente ai capitoli precedenti, il quarto
inizia con la descrizione dell’arrivo d’una nave dal nome simile a quella sulla
quale aveva preso congedo il vecchio Wonk Suk per il suo ultimo grande viaggio
terreno. Ed ancora, come a sottolineare la centralità del viaggio continuo
della diaspora cinese, si narra d’un misterioso presente portato da un conoscente
di nome Dai kew. Ma qui
si tratta d’un movimento diverso :
The men of
Ora, Dai Kew è uno di questi marinai cinesi a
cottimo, i quali spendono i loro salari nei club per scapoli di Chinatown con
« fast night company ». I loro spostamenti sulle coste americane e
canadesi non li riporta mai a casa, ma di nuovo e sempre a quella Vancouver
che nella descrizione offerta poco più
in là della voce narrante è « a city of fog and chills, of dampness and
endless grey days ». Non si tratta quindi d’una presentazione
particolarmente gioiosa ma qui, aldilà dei possibili obbiettivi riscontri
meteorologici, viene suggerita implicitamente una sorta di metafora dell’età
del malessere e del disagio adolescenziale del protagonista. Di particolare
importanza è poi il legame simbolico che sussiste tra il regalo del
marinaio – una tartaruga – nonché la scoperta graduale e quotidiana dei
misteri di questa creatura – ed il processo di scoperta e graduale presa di
coscienza della propria omosessualità da parte del protagonista. L’interesse
per la storia di Jung-Sum sta nel fatto che la narrazione della sua esperienza
si diversifica da quella della sorellina nella misura in cui egli si trova a
dover far fronte ad una diversa – per quanto simmetrica – forma d’impossibilità
a realizzare la propria identità secondo il modello d’emulazione che si prefigge :
Ai riccioli d’oro di Shirley Temple, Jung-sum preferisce la forza del bombardiere nero-Joe Louis e della sua
versione cinese Frank Yuen – un ragazzo
di qualche anno più grande di lui, con ambizioni di pugile.
L’incontro con la tartaruga è qualcosa
che colma di stupore e paura, di quel fantastico terrore esecrato – ma al tempo
stesso ambito – da tutti i ragazzini :
My fear turned into
impatience. Without thinking, I dropped the two empty buckets and ran over to
examine the crate. There, peering up at me, rose the poking, snakelike, angry,
fearless, eye-glittering head of a turtle. I gaped. […] The crate smelled like a stale swamp. But
the animal was incredibly, monstruosuly splendid […] A snapper. Exactly the kind
of turtle I has seen in a picture book at the library (p.78)
Il senso di smarrimento si confonde
coll’orgoglio di possedere una tale fantastica creatura. Tanto più che
Jung-Sum « like everybody else in Chinatown » crede ai fantasmi
Ed i rumori, lo strisciare e sibilare della
tartaruga nella notte, come pure le interpretazioni della nonna - secondo la
quale le tartarughe comunicano coi fantasmi - lo turbano enormemente. Ma, come
si è detto, il fatto di possedere una tartaruga e di doversene occupare lo
riempie d’orgoglio perché la cosa non sembra – nei ricordi della voce narrante
– da tutti. Anche
Jung-Sum interpreta in termini di cultura tradizionale cinese la figura della
tartaruga, ovverosia come « the Great Turtle in Old China, the one who
held the Dragon, the Phoenix and the whole world on its back » (p.81).
La prima persona ad intuire la
preponderanza dell’aspetto femminile nella personalità di Jung-Sum è la nonna.
Questa si affida ad una sensibilità
particolare, affinata da una antica capacità di leggere i segni ed i
segnali più vari e poi re-interpretarli nel suo codice di arcaica sapienza
popolare. Così, allorquando – dopo i suoi 15 minuti di allenamento pugilistico
– Jung-Sum riprende fiato e si vanta « I’m the sun, […]. I’m the champion! »
(p.88), la
nonna replica sicura :
``Jung-Sum is the
moon,`` Poh-Poh said. Mrs. Lim blurted. ``Impossible!`` Mrs. Lim knew the
moon was the yin principle, the female. Mrs. Lim studied me as I went through
my paces, jabbing away at the air. ``Impossible!`` she said. The Old One slowly
lifted her tea cup and gently focussed on me, her gaze full of knowing mystery.
(p.88).
Nelle pagine seguenti, con un
flash-back in mise en abîme, l’io narrante spiega come fosse stato
infatti adottato all’età di quattro anni e come il primo membro della famiglia
da lui incontrato fosse stato proprio la nonna. Dopo qualche esitazione –
dovuta in apparenza ai dubbi legati all’esile costituzione fisica del piccolo,
l’anziana decise di accettarlo. Ma il senso di essere stato prima abbandonato,
quindi inserito in un contesto fuori luogo ed infine – più drammaticamente - di
non essere all’altezza delle aspettative degli altri – in particolar modo di
quelle del fratello maggiore Kiam – assilla costantemente Jung-Sum :
Kiam got to business
right away. ``Your side of the room stops here,`` he said pointing to a red
line he had crayoned on the linoleum floor […].
He asked me if I knew anything about British football or muscle building
and showed me some cuts on his knees from playing football. He thought I was
too weak to be his real brother, a real brother, so it was his
plan to make me strong and tough. He was going to be eight in two weeks, he
said, and anted me to know his rules, and not being a sissy was one of them.
[…] ``Don’t cry, sissy, `` Kiam said, ``or we’ll throw you under the
Georgia Viaduct with the bums and the dead people.`` (p.93)
Questa scena contiene in nuce
la problematica della traiettoria esistenziale di Jung-Sum : non solo, al
pari della sorellina adottiva, inseguire un modello etnico falsato, ovverosia
assumere la maschera del bianco (o del pugile nero a consumo del bianco); ma
anche essere forzato ad inseguire un modello di orientamento sessuale
radicalmente estraneo alla propria natura, e cioè cercare d’indossare la
maschera eroica del macho. Kiam cerca pure di formare la mentalità del
fratellino anche riguardo alla giusta educazione : non bisogna credere
alle storie superstiziose dei vecchi di Chinatown, come quelle raccontate dalla
loro nonna :
Kiam did not want me to
grow up taking in too much of what he considered the Old One’s superstitions
about fate and jealous gods. ``Just old
Con questo suo
atteggiamento positivistico, Kiam segue le orme
I marvelled that Frank
found girls so interesting, just as Kiam did, now that Kiam was starting to
date Jenny Chong and even jetterbugging with her at the Y dances (p.122).
L’aura di rispetto e timore verso
Frank ed il suo carisma « No one crossed Frank Yuen » è vieppiù
caratterizzata da un altro sentimento : « I imagined that Frank,
with his short hair and high forehead, his wiry body, would be a superior
soldier, as tough as any U.S. Marine, tougher than John Wayne himself. (p.123). Dati il carattere rissoso e
la sua difficile situazione familiare – la madre morta quando lui era ancora
piccolo ed il padre nullatenente, Frank Yuen – per quanto sia indipendente
economicamente ed a suo modo filiale « earning big money at lumber mills
and paying for his father upkeep » (p.123), è comunque considerato a
Chinatown quasi alla stregua d’un poco di buono. Tale punto di vista è
condiviso anche dalla famiglia del protagonista, al punto da dissuadere Kiam a
frequentare troppo assiduamente Yuan. Lo stesso ordine non viene dato
tuttavia a Jung-Sum, anche perché a
nessuno viene in mente che Frank potrebbe interessarsi ad un tredicenne
(p.125). Il fatto di trovare un fan adorante, nonché il simile vissuto infantile
(la morte della madre ed un’infanzia difficile) gli fanno in qualche modo
accettare la presenza di Jung-Sum, per quanto la voce narrante si affretti ad
aggiungere che :
I guess if it weren’t
for the fact that Kiam was my brother and I sometimes ran errands for his
father, Frank would probably have pushed me away too (p.125).
I due s’incontrano alla Tong Assembly
Hall dove Frank insegna con compiacenza alcuni rudimenti di boxe. Ma un giorno
Jung-sum e Frank si incontrano per caso nella sala. Jung-sum – il quale
s’accinge ad incontrare il fratello, s’accorge che l’alito di Frank odora di
whisky. Il giovane comincia ad insultarlo, a provocarlo fino alla sfida
« ``A sissy punk like you, he challenged,`` wants to
fight?`` ».(p.127), sfida che Jung-sum - in maniera apparentemente inspiegabile
– accetta. Dopo una serie di calci, pugni e schiaffi, Jung-Sum è a terra
indolenzito, in lacrime, umiliato. Ma ecco che quando il piacere quasi sadico
da parte di Frank scema, Jung-Sum reagisce :
An intense icy resolve
came over me, a clarity about what to do next. I dropped down, bolted sideways,
and grabbed at Frank Yuen’s leg. Startled he tried to pull away, resist. I
quickly pushed up his trousers cuff and clawed with my fingers until the letal
German blade slipped out of its holster. And just as Frank Yuen’s disbelieving
eyes began to understand, I grabbed the weapon. His open-shirted throat stood
naked just above my face. […] I thrust the knife point-blank at his bobbing
Adam’s apple. Frank Yuen jumped back, not a second too soon […] (pp.129-130).
Qualche minuto prima, Frank aveva
mostrato con orgoglio l’arma – associabile forse ad un simbolo fallico –
vantandosi di usarlo talvolta in occasione delle risse nelle quali si trovava spesso
coinvolto. La reazione del giovane dopo lo sbigottimento iniziale non tarda ad
arrivare : con un calcio disarma Jung-Sum. Questi crolla al suolo e rivive
le violenze di un represso trauma infantile : la violenza del padre :
A memory came to me, of
something hard hitting my back, its metal sharpness ripping flesh; a strap
whipping lines of fire across my back. Words began to tumble out of my mouth,
in a voice that was childish, panic-stricken, in a dialect that I had
forgotten : ``Bah-Bah, don’t hit me… don’t hit me… `` (pp. 130-131)
Quanto segue porta quindi alla
rivelazione – ad una epifania del desiderio – Frank si china sul ragazzino lo
abbraccia e - a sorpresa - comincia a cullarlo ed a consolarlo in silenzio
finché : « Frank’s lips brushed my forehead, settled for a second,
then lifted » (p.131). Dopo questa breve, intensissima scena, il
protagonista arriva in rapida successione a comprendere in una specie di satori
affettivo che « Frank Yuen could not confort me forever. He sighed deeply, began
to let me go, to let some darkness gently go » (p.131). La voce narrante
aggiunge quindi che « a strange yearning awoke in me, a vivid longing
rose from the centre of my groin, sensuous and craving ». Allorquando i due escono dalla sala,
Jung–Sum/io narrante, finalmente comprendendo il senso delle parole proferite
dalla nonna, chiosa :
Frank Yuen is the sun, I remembered thinking,
and I rememberd also the Old One telling Mrs. Lim, ``Jung-sum is the moon.``
Yes, I said to myself, as I finished putting on my coat, my armour, I am the
moon. As I walked briskly to keep up with Frank on our way to the Blue
Eagle, the Old One’s worlds followed me all the way along the snow-dusted
streets of
Nello spazio di poche righe, il
protagonista rivive un trauma infantile rimosso, comprende la vera, profonda natura
del desiderio che prova per Frank Yuen – ma anche l’impossibilità della
realizzazione di quel desiderio. Tuttavia, è con energia
(« briskly ») che il protagonista esce dalla sala. Inoltre, lungi dal
mettere in discorso in termini patetici o assolutamente negativi la condizione
di marginalità e discriminazione alle
quali dovrebbe essere sottoposto l’omosessuale maschio nel contesto culturale
della tradizione cinese 8, Jung-Sum ricorre con audacia a quella stessa
tradizione, recepita attraverso la sapienza popolare della nonna, per enunciare
in termini filosofico-religiosi tradizionali la propria identità, al tempo
stesso etnica e sessuale. Non si vuole quindi negare la doppia discriminazione
– il peso della doppia maschera etnica e sessuale imposta a Jung-Sum (maschere
simili eppure diverse a quelle imposte alla sorellina). Il punto è invece un
altro : Ciò che Choy mette audacemente in discorso è la capacità del suo
protagonista di di-spiegare – e quindi di vivere la cultura del paese d’origine
dei padri – nella e per la propria esistenza. E cioè vivere la cultura (col
trattino o meno) - come Raymond Williams ci insegna « culture is not a
given », non come qualcosa di statico, ma piuttosto come processo e
scoperta.
La terza parte del romanzo ha per voce
narrante quella dell’ultimo nato della famiglia – Sek-Lung. La sua storia inizia, molto laconicamente :
In 1939, when I was six
years old, the whole family – my two brothers and my sister, and all our
relatives – considered me brainless (p.145).
Ciò che rende questo personaggio
particolare e lo differenzia rispetto ai fratelli descritti nelle parti
precedenti è la sua condizione di estasi stuporosa permanente di fronte alla
complessità ed all’incomprensibilità del mondo. In particolar modo viene
enfatizzata la discrasia tra il suo microcosmo familiare – colle sue leggi
recondite e colle sue gerarchie onomastiche – ed il contesto esterno tendente
ad integrarlo ed assorbirlo nella realtà canadese. Così Miss MacKinney – la sua
insegnante di prima elementare – lo ribattezza ``Sekky`` perché tale nomignolo
le sembra ``more canadian``. D’altra parte, il piccolo ha enormi difficoltà a
comprendere – e quindi ad usare correttamente – i numerossissimi termini di
parentela cinesi, nonché la misteriosa varia autorità ad essi associata. In un
certo senso, tale situazione era già presente in nuce nella percezione
della sorella maggiore – Jook-Liang. Tuttavia, nella terza parte del romanzo
essa assume una centralità definita che si spiega probabilmente con una
constatazione molto semplice : Sek-Lung
è l’ultimo nato di una famiglia che, per quanto fortemente legata alle
proprie radici, ha già progredito volens-nolens nel processo di
metabolizzazione del nuovo contesto culturale nel quale si trova a vivere.
Sek-Lung/Sekky si trova quindi già qualche passo più addentro al movimento
d’integrazione. Di conseguenza, risulta molto più sensibile al richiamo o - in
termini althusseriani – alla soggettivizzazione esercitati da una struttura di
formazione quale la scuola. Detto questo, non sfugge certo la condiscendenza da
parte dell’insegnante la quale – bontà sua – sembra conferire al piccolo uno
strumento per sentirsi meno straniero (ma pur sempre tale) ed un passaporto di
canadianità scolastica.
Descrivendo il proprio stato di minorità,
Sek-Lung spiega che i suoi due fratellastri (Kiam e Jung) « naturally felt
superior » (p.148) perché, aldilà dei diritti loro conferiti dall’età
(dodici e quindici anni), avevano « virtù » particolari : il
primo conseguiva eccellenti risultati scolastici, mentre il secondo stava
imparando a boxare come Joe Louis. Da notare come questa struttura di mise-en-abîme
delle prospettive descritte da taluni dei personaggi narrati, permetta al tempo
stesso di relativizzare, o meglio di oggettivare le loro esperienze e rileggerle – per così dire
– collo sguardo di chi, dopo essere stato l’ultimo della famiglia (in più di un
senso) è ora la voce maggiormente rivelatrice . È così ad esempio che viene
menzionato tra i vari ostici titoli di parentela quello dei « figli di
carta » :
And if these persons
were also tied to us by false papers to obtain immigration visas, they became
``paper sons`` or ``paper uncles,`` heirs to a web of illegal subterfuge
brought on by laws that stipulated only relatives of official ``merchant-residents``
or ``scholars`` could immigrate from
Nella storia della sorellina e della
sua relazione col vecchio Wong-Suk, la voce narrante aveva descritto (sia pure
nell’aura magica della percezione infantile) documenti che burocraticamente
sintetizzavano la storia dell’emigrazione cinese della fine del diciannovesimo
secolo. Qui, le varie manovre di resistenza contro l’ostracismo lanciato
dalle misure legislative messe in atto
per fermare il « pericolo giallo » sono esplicitate con l’ironia
delle virgolette, quasi a rendere giustizia a Sek-Lung – colui che per aver
capito più tardi ha comunque compreso più a fondo. Non a caso è la sua voce – e
non quella dei fratelli maggiori – a porre un giorno la domanda che ogni
genitore emigrato deve sentirsi porre da un figlio : « Am I Chinese
or Canadian? » (p.149). L’ambiguità
e l’incertezza della definizione d’una identità a cavallo tra etnia e nazione
devono attraversare una fase di complessa decantazione prima di poter aspirare
a divenire ricchezza plurale. E così, tale domanda non può che causare
confusione ed ottenere risposte contraddittorie :
``Tohng yahn,``
Grandmama said, collapsing in her rocking chair and setting her grocery bags
down on the floor, ``Chinese.`` […] ``We are also Canadian, `` Father said. (pp.149-150)
È chiaro che l’affermazione di
principio da parte del padre, e cioè quella relativa all’essere ``anche``
canadesi è fatta quasi obtorto collo, col vago presentimento che ciò sia
meglio per la prole, ma che in fondo non sia del tutto vero, augurabile o
fattibile.
Un altro aspetto su cui la voce
narrante di Sek-Lung adulto ragiona con maggiore acutezza rispetto ai fratelli
è quello della lingua. Se la sorella maggiore poteva conversare in inglese,
come pure nel dialetto usato in famiglia e bearsi del ``chinglish`` come d’un
idioma esoterico per le sue chiaccherate col vecchio Wong-Suk, Sek-Luk, invece,
ci descrive una maggiore consapevolezza della distanza tra questi vari codici
linguistici :
I knew just enough
Chinese and English to speak to people, but not always the finer points; worse,
each language was mixed in with a half dozen
Sek-Lung si sente più a suo agio ad
usare l’inglese – lingua che gli sembra diretta e chiara - fatta di segni
disambigui come quelli della segnaletica stradale. Ma è chiaro che si tratta di
una naturalizzazione del culturale : Sek-Lung è fondamentalmente anglofono
e ciò che ai fratelli va da sé – passare dall’inglese al cinese – per lui
diventa una continua, complessa e frustrante traduzione di quel « di
più », di quelle « perplexities » delle parole e del pensiero, e
quindi della cultura cinese dei padri. Ed è proprio in questo aspetto che si
deve notare la particolarità della diversa marginalità di Sek-Lung rispetto ai
fratelli descritti nella prima e nella seconda parte del romanzo. Se infatti,
come s’è detto, il problema per la sorella è quello di disfarsi della maschera
di Shirley Temple, e per Jung di quella dell’eroico boxer per scoprire la
propria irriducibile diversità, nel caso di Sek-Lung il problema è – per così
dire – di non poter nemmeno permettersi il lusso di sognare una maschera, e di
restare perennemente nel limbo identitario dei mo no :
Surely, once in
Per la comunità d’immigrati – tra i
quali spesso si tende ad essenzializzare l’identità etnica attorno a
determinati simboli e valori percepiti come unici ed originali - i figli nati
in Canada sono privi di tratti specificamente cinesi (purtroppo!), ma non
assimilabili agli altri, ai demoni stranieri (ci mancherebbe!). Sek-Lung è
dunque un « senza cervello » perché è incapace di vedere e dare la
giusta importanza a ciò che ai padre sembra ovvio : la linea di
distinzione tra « noi » e « loro » 9. Per quanto riguarda invece la percezione dei
locali (quanto mutata oggi?), le considerazioni della voce narrante indicano
uno sconcerto se possibile ancora maggiore :
But Even if I was born
in
Si tratta qui di una forma di
essenzializzazione speculare e contraria : quasi persona non grata
a Chinatown e « resident alien » in Canada. Lasciamo agli storici,
agli esperti di politica dell’immigrazione ed anche agli studiosi di demografia
valutare quanto la situazione sia obbiettivamente cambiata in città quali
Vancouver e Toronto. Ma viene da porsi il quesito su quanto sia realmente mutata
la percezione – orientalistica direi – del cinese in Canada. Percezione certo
nutrita da idee preconcette (non solo negative) su « loro », i
cinesi, gli « asiatici ». Inoltre, il testo di Choy – memoria
letteraria della Vancouver degli anni trenta e dei segreti dei vecchi di
Chinatown – ci pone al tempo stesso il quesito su quanto la creazione
dell’etnico col trattino possa aiutare ad integrare - ma al tempo stesso
creare, mantenere a distanza ed alterizzare - l’etnico. In altri termini, ci si
deve porre la domanda se Cinesi ed « asiatici » in generale – ma il
discorso si potrebbe estendere ad altri gruppi etnici - possano accedere
nell’immaginario popolare allo stato di autentici canadesi, e per quante
generazioni poi si debba applicare il trattino.
Parlando
dell’esperienza sino-americana, Vincent Cheng afferma:-
But one thing that is
clear is that not much has changed since
the days of Fu Manchu or of the Yellow Peril or of Japanese internment :
whether native-born Americans or recent immigrants, Asian in the
Cela va sans dire che la politica del multiculturalismo
seguita dal Canada è certo dissimile negli intenti e nei risultati dal
cosiddetto melting-pot americano. Ma ciò costituisce una
differenziazione relativamente recente.
L’esperienza di Sek-lung mette quindi in discorso esattamente il senso
di de-realizzazione provato da tutti i membri della famiglia protagonista del
romanzo, ma espresso in maniera netta e consapevole soltanto dal born-in-Canada
Sek-Lung.
La determinazione ad apprendere
l’inglese diviene quasi un’ossessione per Sek-Lung. Egli si ostina in uno
studio quasi matto e disperato, le cui finalità sfuggono però ai suoi
familiari. Infatti, ai loro occhi, l’ultimogenito è - e sarà per sempre - un
né/né : non (più) cinese, né mai canadese. In realtà, il suo desiderio di
poter esprimersi correttamente in inglese e non più nel « chinky
English » che dice « made a fool of me » (p.157) è motivato
dalla sensazione di isolamento causato dalle due grandi difficoltà – o i due
gran rifiuti : quello da parte della comunità cinese, come quello da parte
dei « locali ». Ma la relazione tra il piccolo e la versione mitica
del mondo e della cultura cinese presentatagli dai familiari – ed in particolar
modo dalla madre - è più complessa di quanto sembri. Sarebbe infatti errato glissare
sul fatto che essa non è soltanto caratterizzata da risentimento e
dis-integrazione. A questo proposito occorre almeno accennare ad un altro
personaggio « narrato » dalla
madre : Chen Suling. Si tratta di una ragazza che in Cina
intratteneva rapporti di amicizia con la madre di Sek Lung. Essa,
« dettaglio » a lungo ignoto al piccolo, venne a mancare durante
l’occupazione giapponese. Ora, nella fantasia del piccolo, Chen Suling diviene
al tempo stesso un idolo polemico ed un modello di comportamento. Nella descrizione
idealizzata fattagliene dalla madre, Chen Suling è un’eroina per intelligenza e
determinazione. Infatti, convertitasi al cristianesimo, si dice avesse imparato
l’inglese dai missionari e che addirittura lo padroneggiasse così bene da
poterlo insegnare a Sek Lung quando avesse avuto la possibilità di emigrare in
Canada. Purtroppo, la sua fede religiosa eteroddossa aveva scosso gli equilibri
tradizionali al punto che il padre ne aveva decretato l’espulsione dalla
famiglia. Ora, l’aspetto interessante è che Chen Suling – pur antipatica quanto
una prima della classe – divenga per Sek Lung un modello da seguire quanto a
determinazione a conseguire un risultato osteggiato dalla famiglia – il Canada
per Chen, la lingua inglese e l’integrazione nel «nuovo mondo » per Sek
Lung. In altri termini, il sogno inglese-canadese di Sek Lung, assume dapprima
(non solo metaforicamente) le sembianze cinesi di Chen Suling. Il fatto poi che
questa – novella Godot – non arrivi mai, sembra indicare l’indefinito procrastinarsi
d’un divenire che per Sek Lung assomiglia ad un destino beffardo. Ma nel testo
si fa riferimento ad un altro modello simile di eroismo – per quanto di natura
più marcatamente marziale – e cioè al fratello pompiere di Miss Doyle, la
seconda maestra di Sek Lung. Miss Doyle è la persona che trasforma un
« mixed group of immigrants and displaced persons, legal or
otherwise » in sudditi di sua
maestà, mutandone ciò che la voce narrante definisce come « the tittering,
brought on by our immigrant accents » :
On streetcars and in
shops where only English was spoken, people ignored you or pretended they
didn’t hear you or, worse, shouted back, « WHAT? WHAT’S THAT YOU SAY?
CAN’T YOU SPEAK ENGLISH!?! » Miss Doyle never ignored us, never tittered. (p.203)
Il fratello di Miss Doyle, John
Willard Henry, era morto durante il bombardamento di Londra. Per instillare un
senso di disinteressato eroismo e, naturalemente, la fedeltà alla Union Jack,
l’insegnante in varie occasione legge in classe le lettere del fratello. Sek
Lung - assente nell’occasione in cui l’insegnante aveva rivelato il decesso del
fratello e la finalità educativa della lettura epistolare – continua a credere
all’esistenza di cotanto eroe, allo stesso modo in cui crede all’esistenza di
Chen Suling. Ironicamente, scoprirà più tardi che le due persone (o per meglio
dire, i personaggi) sulle quali l’insegnante e la madre desideravano modellarne
l’esistenza (un bianco anglosassone ed una cinese) sono già morti – a dire che
la sua identità non può basarsi su modelli fantasma, ma su di un presente pieno
d’incognite in una vita, parafrasando Perec, senza istruzioni per l’uso.
Come s’è detto, Sek Lung e gli altri
come lui nati in Canada sono - agli occhi della famiglia e della comunità
cinese – dei « senza cervello ». La causa di tale presunta
inferiorità verrebbe dal fatto che il piccolo non sarebbe in grado di
riconoscere ciò che agli altri appare d’una evidenza lampante : la
differenza tra « noi » (i Cinesi) e « loro » (gli
stranieri, i bianchi, i Canadesi). Ma quali sono le situazioni concrete in cui
il testo mette in discorso e problematizza tale questione? A nostro modo di
vedere si possono scorgere almeno due momenti chiave. Il primo è dato dalla
morte della nonna, dai riti funebri celebrati in sua memoria, e dalla
particolare elaborazione del lutto da parte di Sek Lung; l’altra situazione è
data dalla relazione tra Meiying (un’adolescente cinese che gli fa da
baby-sitter) ed un coetaneo d’origine giapponese. In questo secondo caso, il
tabù consiste ovviamente nel frequentare qualcuno appartenente ad un gruppo
etnico diverso : un Giapponese!
Riguardo al primo punto, c’è da dire
Sek Lung ha un rapporto privilegiato e
particolarmente intenso con la nonna e colla cultura orale e materiale
che questa rappresenta. Trascorre infatti in sua compagnia interi pomeriggi,
alla ricerca di oggetti vari da riciclare, coi quali la vecchia cinese sa
creare vari monili, servendosi d’una tecnica ancestrale appresa in Cina. Il
fatto che i due trascorrano molto tempo insieme è dovuto anche al fatto che il
piccolo Sek Lung non può frequentare normalmente la scuola a causa di un serio
problema ai polmoni. Col tempo, allo stesso modo in cui respirando le pozioni e
le erbe della nonna tale disturbo scompare, Sek Lung finisce per assorbire
attraverso il filtro della percezione infantile, il sapere e l’ethos della
cultura popolare della nonna. Ciò, paradossalmente, lo differenzia e separa dagli altri componenti della
famiglia – così attenti a mantenere programmaticamente certi aspetti della
cultura cinese, ma tesi con tutte le loro forze a divenire Canadesi quanto a
logica scientifica. Così, al momento del
decesso della nonna, essi – in primo luogo il padre ed il fratello maggiore -
sono restii a far celebrare quei riti funerari tanto importanti agli occhi
dell’anziana congiunta. In seguito, il piccolo Sek Lung, comincia ad avere
delle visioni, ovvero ad udire strane voci e rumori. Se dapprima i familiari
interpretano tale fatto come l’effetto dello shock causato dalla scomparsa della
nonna, il protrarsi di questa situazione viene in seguito visto alla stregua
del manifestarsi di qualche disturbo mentale (quasi la riprova della stranezza
di questo ultimogenito né-né). Ma alla fine, la suggestione causata da fenomeni
forse casuali (per quanto apparentemente inspiegabili) spinge il capofamiglia
ad invitare dei religiosi per espletare i riti necessari a pacificare lo spirito della nonna. Se da
una parte i familiari razionalizzano il successo di tali ripetute cerimonie con
il fatto che il piccolo non manifesti più alcuno dei disturbi precedenti, non
può tuttavia sfuggire l’aspetto più importante : è proprio Sek Lung, il
senza cervello nato in Canada, il personaggio che, attraverso la sua relazione
privilegiata ed innocente con una fonte di sapere tradizionale (la
nonna), restituisce alla famiglia la perduta consapevolezza delle proprie
radici ancestrali.
Per quanto riguarda il secondo aspetto
cui si è accennato – la liaison segreta tra una ragazza cinese ed un
nippo-canadese – c’è da dire che al piccolo Sek Lung vengono dati una
prospettiva ed un ruolo privilegiato. Infatti, dato che i suoi genitori non si
fidano più di lasciarlo a casa da solo dopo scuola (i suoi giuochi militari si
vanno facendo sempre più irruenti e pericolosi), il piccolo viene affidato alle
cure d’una vicina : la signora Lim. Ma dato che quest’ultima – una vecchia
amica della nonna – è troppo indaffarata con la preparazione di cibo ed erbe
tradizionali, ad occuparsi del piccolo è la figlia adottiva : Meiying (o
May, nel suo nome inglese). Meiying conquista rapidamente il piccolo colla
dolcezza dei suoi modi e colla sua conoscenza di aerei da guerra e di tutto
quanto interessi ad un bimbo di otto anni.
Non si fa quindi troppi problemi a recarsi in sua compagnia ad un parco
nella zona denominata Little Tokyo, per incontrarvi Kazuo («Kaz») il suo
fidanzatino segreto. Opportune regalie (fumetti e dolci), oltre che la fierezza
giocosa di essere addentro ad un segreto estremamente pericololoso, motivano il
piccolo Sek Lung a non tradire Meiying ed a tenere il (quasi) massimo riserbo
quanto alla liaison dangereuse tra i due giovani «stranieri». Nel
tragico epilogo di questa storia d’amore, la giovane Meiying probabilmente
incinta si suicida, mentre Kazuo, come tutti i Nippo-Canadesi, si appresta ad
essere internato in un campo a seguito del bombardamento di Pearl Harbour.
L’ostracismo da parte della comunità
cinese verso le relazioni affettive e matrimoniali con non-cinesi è un fatto
storicamente assodato, ma così pure quello da parte di altre comunità d’origine
asiatica come quella giapponese. Nell’episodio in questione, il pregiudizio
cinese è qualcosa di sottinteso: tutti – anche i bambini- sanno che queste cose
non si fanno:
I knew, of course,
Meiying was involved in something shameful, something treasonable. Everyone
knew the unspoken law : never betray your own kind. « Keep your
business in your own pants, » Third Uncle had warned Kiam when he got
interested in a white waitress at the Blue Eagle who liked to dance with him.
[…] There was no getting around it. She must have known Kazuo for a long time.
She was a traitor. Her boyfriend was a Jap, a monster, one of the enemy waiting
in the dark to destroy all of us. (p.247)
I vari tabù noti al piccolo Sek Lung includono dunque un certo tipo di relazione con
membri di altri gruppi etnici, siano essi « i bianchi » o i
Giapponesi. Che poi tale isolazionismo avesse cause endogene ed esogene è fatto
ovvio (si pensi all’influenza di certe leggi in vigore negli Stati Uniti che
proibivano matrimoni tra bianchi e non bianchi, si trattasse di « negro,
mulatto, or Mongolian » 11. Ciò che viene descritto invece è la pressione eguale e
contraria da parte della comunità giapponese. Così, una volta, al parco degli
incontri segreti, dove Kazuo gioca a baseball :
A large menacing man in
a black jacket walked over to Kaz and began to shout at him. He pointed angrily
at Meiying, shaking his fist and spitting in the sand. Some of the Asahi men
began to stare at Kaz, then at Meiying standing alone. I ran back to her and
stood guard. The stout catcher came towards us and shouted in English, as if we
might be deaf : «Leave Kazuo alone, little girl! He’s already in
enough trouble with his family over you! » (p. 246)
Il comune coraggio di Kazuo e Meiying
nello sfidare gli uguali tabù delle loro rispettive comunità d’appartenza viene
sottolineato dalla crescente (per quanto
denegata) simpatia da parte di Sek Lung per Kazuo. Tale sentimento, scevro
dalle razionalizzazioni degli adulti,
denaturalizza il divieto e ne dimostra l’assurdità :
Kazuo once gave me some
Japanese candy that tasted of seaweed. I thought it had poison in it, but they
both ate it to show me it was safe. Another time, Kaz gave me a
baseball, and we threw the ball around. He showed me how to spit on it and rub
the stitching part before winging it. The best time happened when Kaz,
because he was as tall as Kiam, bent down to box with me. I threw Kaz a
fake left and got to hit him hard on the jaw. […] I kept punching at him.
Meiying pulled me back, but he laughed and lifted me up into the air and threw
me up, up, up. […] now we’re even, » he said, and Meiying pushed him,
knocking him over and falling on top of him; I quickly recovered and jumped
him. We ended up laughing and rolling around the ground. (Corsivo mio) (p.258)
Il passaggio dall’uso del nome
proprio Kazuo al diminutivo Kaz, oltre al paragone col fratello, fino alla gran
risata finale sono già di per sé un segnale assai evidente del fatto che i
pregiudizi ideologici dei « grandi » non fanno presa su Sek Lung. Ma
ciò diviene più evidente quando, una sera, il piccolo chiede al padre :
« Are all Japs our enemy, even the ones in Canada? » (p.260). Alla
risposta affermativa da parte del padre, seguono vari distinguo da parte degli
altri membri della famiglia. Ma tali voci discordanti e pseudo-argomenti quali
«the ones who are born here are only half enemies » in fondo altro non
fanno che sottolineare la ragionevolezza dei dubbi del piccolo e l’assurdità
del « trasloco » di odio sostenuto dal padre.
La pervasività di tali tabù è spesso
codeterminata dalla politica della nuova comunità d’appartenenza, per la quale
questi emigranti erano (ed ancora spesso sono) genericamente asiatici. In tali
pregiudizi si mescolano nazionalismo ed orgoglio etnico. Tutto ciò è stato sottolineato con chiarezza da Vincent
Cheng, il quale parla di « traditional prejudices and bigotries between
Asian populations » e narra una sua pertinente esperienza personale :
The Chinese and Japanese
have a long history of mutual hatred and animosity, capped in the twentieth
century by the Japanese occupation of China and World War II; […] (When as a
student, I began dating a Japanese American woman, my Chinese mother – steeled
by her bitter war-time experiences in China during the 1930s and 1940s –
refused to speak to me) 12.
Le considerazioni di Cheng, per quanto
si riferiscano al contesto americano, si possono in certa misura applicare
anche a quello canadese. Con ciò non s’intende affatto, sia chiaro, ridurre il
testo di Choy a sociologia spicciola; si vuole piuttosto mettere in rilievo
come il suo discorso colga liricamente nel segno un’altra tematica fondamentale
della storia e della cultura sino-canadese. Tale aspetto è ulteriormente
problematizzato nel testo. Infatti, c’è da sottolineare come il piccolo Sek
Lung non sia il solo membro della famiglia a solidarizzare con Meiying ed a
garantirle la protezione del silenzio. Infatti la matrigna (Stepmother) (che
si ricordi è di fatto la madre biologica del piccolo e di Liang – la sorella
maggiore), si avvede ben presto della situazione :
Whenever we were alone
together, Stepmother pestered me with questions about Meiying, « Where did
you go to play? » « The playground.» « Was it always
Di tutta evidenza, quello che al
piccolo Sek Lung sembra un vero interrogatorio, un chiedere per sapere, di
fatto non è altro che una verifica della capacità del piccolo di raccontare
agli altri familiari (in particolar modo al padre – fieramente e totalmente
antigiapponese) una storia coerente nei contenuti e credibile nella forma. I
motivi per i quali Stepmother decide di coprire Meiying, stanno tutte nel loro comune senso di
marginalità : Meiying era stata affidata (e senza molti patemi) in tenera
età a Miss Lim dalla madre biologica – una cantante d’opera cinese dai costumi
alquanto leggeri per i suoi tempi; la madre di Sek Lung, come si è detto, era
stata introdotta in famiglia quasi alla stregua d’un oggetto, al fine di
sostituire la prima moglie del padre, senza però mai acquisire lo status di
madre :
The first week of
January 1942, Father came home to say the Japanese were being taken away. […]
Father said there was justice in this. « Look at all the real estate
they’re taking in
Quando poi il padre obbietta che tale
decisione era stata presa da «the old one», la donna chiude la discussione
chiedendo retoricamente: «And all these years, where was the tongue of my
husband?» (p.273).
In ultima analisi, la storia di Kazuo e Meiying riesce a mettere
in luce il doppio ostracismo verso la loro relazione (da parte della comunità
cinese come da parte di quella giapponese); inoltre, facendo riferimento alla
progressiva demonizzazione contro la comunità giappo-canadese, Choy rivela
tutta la distanza che separa la sua opera da ciò che Lowe definisce come « the essentializing of Asian
American Identity », tratto comune a tanta parte della letteratura Asian-American
di successo. Tale
essenzializzazione (o processo di astoricizzazione, diremmo noi :
Reproduces oppositions
that subsume other nondominant groups in the same way that Asians and other
groups are marginalized by the dominant culture : to the degree that the
discourse generalizes Asian American identity as male, women are rendered
invisible; or to the extent that Chinese are presumed to be exemplary of all
Asians, the importance of other Asian groups is ignored 13.
Meiying, come la sua madre biologica, come stepmother, come
Liang la sorellina ed il suo vecchio amico Monkey, e poi ancora come Jung, adottato anch’esso, creatura
inconsapevolmente lunare ma mascherato da sole, tutti questi personaggi sono
figure che definiscono, si passi l’espressione, i margini dei margini della
comunità sino-canadese (ma da essa forgiati e di essa parte integrante). Si tratta di creature, se possibile,
doppiamente silenti, ma personaggi di grande efficacia e verità narrativa.
NOTE
1.
An
Interview with Wayson Choy by Don Montgomery (2002
2. Citato nella copertina dell’edizione del testo di Choy
cui facciamo riferimento nel presente saggio : The Jade Peony,
Douglas and McIntyre, Vancouver & Toronto, 1995.
3. Discovering what Matters. An interview with Wayson Choy by Scott
Sellers was published in READMagazine, Volume 5 Issue 1, Fall 2004. La stessa intervista tradotta in
italiano da Egidio Marchese è online in Bibliosofia: http://www.bibliosofia.net/files/Sellers.htm
4. In realtà, come rivelato dall’autore stesso, il romanzo constava
d’una quarta parte dove si narrava la storia di Kiam - il fratello maggiore.
D’intesa colla sua casa editrice, Choy decise di tagliare quest’ultima parte,
perché la storia dei tre fratellini sembrava rappresentare una prospettiva
unitaria in sé conclusa, avente come perno o punto di riferimento l’aspetto
femminile o yin della cultura di Chinatown. Come è noto, la storia di
Kiam è stata poi rielaborata ed ampliata in un romanzo pubblicato di recente
col titolo All that Matters. Per dirla colle parole dell’autore, in
quest’ultima opera l’idea di mettere al centro della storia Kiam ha lo scopo di integrare « his vision of a paternal side of
Chinatown with the maternal side that was told in The Jade Peony ».
Dati gli attuali interessi di ricerca
dello scrivente ed in considerazione dei limiti di spazio di questo saggio, ci
si ripropone di affrontare in altra sede All that Matters.
5. « On
6. Tradotto in Italiano col
titolo I Briganti ed in Inglese come The Water Margin e, nella
versione di Pearl S. Buck, All Men Are Brothers
7. Lien Chao, op.cit., p.27.
8. Si
pensi per esempio a come, riferendosi al dramma in tre atti Bachelor-Man
del drammaturgo Sino-canadese Winston-Christopher Kam, Lien Chao definisca
riduttivamente l’omosessualità come « a crime in traditional Chinese
culture » (Lien Chao, op.cit., p.80).
9. Tale
definizione di « neither, nor » è radicalmente diversa da quella cui
fa riferimento Frank Chin nella sua
antologia di letteratura Asian-American « Aiiieeee! » nella quale,
secondo Koshy : « The authentic Asian American is […] defined as a
prototypical No-No Boy : a political subject who says no to Asia, no to
America, and is decidedly male » (Citato in Cheng, Op. Cit., p.166).
10. Vincent J. Cheng,
Inauthentic - The Anxiety Over Culture
and Identity, RUP,
11. Okihiro, citato in Cheng, Op.
Cit.
p.150
12. Cheng, Op. Cit. p.147.
13. Lowe, citato in
Cheng, Op. Cit.,
p.167.
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* Pietro Giordan. Nato a Venezia, laureato in
lingue e letterature orientali (Università di Venezia - Ca' Foscari), ha trascorso
vari periodi di studio in Cina Popolare. Nel 1993 si è stabilito in Canada dove
ha conseguito un Dottorato in letteratura comparata (Université de Montréal).
Professore associato di letteratura e cultura cinese al Dipartimento di lingue,
letterature e linguistica alla York University di Toronto, coordina il
Programma di studi asiatici alla Division of Humanities. Le sue ricerche
vertono sulla narrativa cinese moderna e su questioni di comparatistica.
Ha pubblicato vari saggi, in particolare su riviste quali China Scholarship,
Wenxue pinglun (Critica letteraria), Parol, Canadian Revue of
Comparative Literature. Al momento, lavora principalmente ad una monografia
sull'opera di Shen Congwen.
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dicembre 2007