Melania Mazzucco, autrice del
romanzo Vita, ha presentato a Toronto
l'edizione in inglese del suo libro che ha vinto nel 2003 il premio Strega.
Ad assistere alla sua lettura
pubblica ha partecipato un folto pubblico che ha fatto i complimenti a Mazzucco
per la bella traduzione in inglese. «Un inglese così bello, così musicale non
lo leggiamo facilmente», ha riferito l'autrice mentre rilasciava un'intervista
al Corriere Canadese. La lettura e la successiva tavola rotonda si sono tenute
domenica 23 a Harbourfront Lakeside Terrace in occasione dell'Ifoa
(International Festival of Authors). Ma per noi, qui a Toronto, patria del
multiculturalismo è stata un'ottima occasione per parlare dei vari problemi
dell'immigrazione e del "sogno americano" che oggi è anche il
"sogno europeo".
Mazzucco
è una scrittrice che si è calata nel profondo dei problemi dell'emigrazione,
sia per aver avuto un'esperienza familiare (con suo nonno Diamante, uno dei
protagonisti del romanzo), sia per essersi documentata a fondo prima di
scrivere Vita, sia per aver viaggiato
molto e conosciuto le aree di provenienza dei "disperati" che
continuano a sbarcare in Italia e sia per aver avuto dei rapporti diretti a
Roma con gli immigrati e con i loro problemi. Chiediamo.
Il sogno americano, la ricerca della
felicità, concetto sancito dalla costituzione americana, abitano ancora negli
Stati Uniti?
«Oggi è un concetto appassito - dice Melania Mazzucco -. All'inizio
Qual è stato il ruolo delle donne italiane nelle vicende dell'emigrazione,
cosa le ha trasmesso Vita?
«Un grande silenzio. Nell'immaginario
collettivo è l'uomo che parte. Poi arrivano le donne. E per loro l'America ha
rappresentato un cambiamento epocale. Sono partite dall'Italia che facevano le
casalinghe o le contadine e sono arrivate a fare le operaie in fabbrica. C'è stato un cambio di abitudini
ed è avvenuto un vero e proprio shock culturale.
In Italia erano oppresse e chiuse in casa, mentre, in America hanno avuto
indipendenza e libertà. Ad
esempio il padre di Vita a
Mazzucco è d'accordo nel dire che in Nordamerica, le donne italiane, pur
andando in fabbrica, pur acquisendo libertà, sono sempre rimaste custodi della
memoria storica, delle tradizioni, delle abitudini familiari e della sua unità.
Ma ora con le nuove generazioni questi valori si stanno diluendo.
E gli uomini, come hanno vissuto l'emigrazione; cosa diceva suo nonno
Diamante?
«È importante dire che il 48 per cento degli uomini sono tornati in
patria. Non si sono adattati e
non riuscivano a stare con le donne italiane ormai "contaminate"
dalle abitudini di vita americane. Mio nonno Diamante, ad esempio, quando è
tornato a casa, ha sposato una donna semplice, tradizionale, contadina. Non ha
pensato certo di sposare Vita, ormai diventata "
E suo nonno Diamante come ha vissuto lo sbarco a New York?
«Mio nonno ha raccontato sempre a tutti cosa gli è successo al suo arrivo,
l'umiliazione e la vergogna che ha patito. A 12 anni era partito dall'Italia con 10 dollari
cuciti nelle mutande e quando è arrivato al porto di
Dopo la
pubblicazione del libro Vita sulla
storia di due ragazzi, Diamante e Vita di 9 anni, Mazzucco ha ricevuto numerose
lettere di italiani che vivono negli Stati Uniti e una di queste, racconta la
scrittrice «era di una donna che si chiama Vita Mazzucco. Mi ha detto che
quando è arrivata in America le hanno cambiato il cognome in Fritzpatrick e che
ora voleva riappropriarsi del suo cognome d'origine».
Ciò che
dice la scrittrice lo constatiamo anche a Toronto dove è successa la stessa
cosa e ora alcuni di quelli che sono stati costretti a cambiare nome per
potersi integrare vogliono riprendersi il loro nome vero. Almeno quello, visto
che non si sentono né italiani né canadesi, dicono.
Perché ha sentito la necessità di
scavare nel passato della sua famiglia?
«È stata una specie di resa dei conti. Per sentirsi
parte
Melania Mazzucco racconta con calma.
Medita, si tuffa nei ricordi, emerge e fa nuove considerazioni socio politiche
sul presente, sulle responsabilità di noi tutti di fronte ai drammi umani che
si consumano lungo le coste italiane e le chiediamo.
Di fronte alle vicende attuali
dell'emigrazione, come dei disperati che sbarcano a Lampedusa, o di chi perisce
lungo la strada, cosa è cambiato rispetto al 1908, anno in cui Diamante e Vita
arrivano a New York? Quali responsabilità abbiamo?
«L'ultima scena di Vita la
vediamo ogni giorno nei telegiornali. Noi siamo ciechi. Non abbiamo capito che chi parte da regioni remote è già
morto. È disposto a tutto. Io lo so. Sono andata nel deserto del Sahara e ho
visto la realtà. I resti di questi emigranti: scarpe, ossa. Loro quando partono
salutano per sempre i loro familiari e dicono "ci vediamo in un'altra vita"».
«Noi non abbiamo capito che sono per i nostri Paesi una ricchezza. Sono persone
che vengono per rimanere. Chi parte dall'Africa non tornerà mai più indietro, al contrario di come
hanno fatto quasi la metà degli italiani o come hanno fatto molti albanesi che
sono venuti in Italia: hanno fatto un po' di soldi e poi sono tornati a casa
per avviare un'attività».
Con l'aumento del multiculturalismo si può parlare di globalizzazione
della cultura?
«È difficile parlare di globalizzazione della cultura in quanto le
traduzioni sono difficili e spesso non riflettono i veri contenuti. Finché parliamo di testi scritti in inglese
per un pubblico anglofono va bene, altrimenti no. Possiamo parlare di
globalizzazione dei prodotti di consumo, ma per la cultura non è così».
E Toronto che impressione le ha fatto?
«In Canada ero stata solo a Vancouver e sulle Montagne Rocciose.
Che cosa racconta nel suo ultimo romanzo "Un giorno perfetto"?
«È una storia sull'Italia di oggi. Racconto 24 ore a Roma attraverso dieci personaggi,
dai bambini ai politici. È come un affresco».
Il romanzo è edito da Rizzoli che così lo recensisce: "Con Un giorno perfetto, dopo il successo di Vita, Melania Mazzucco si addentra per
la prima volta nei territori del presente. È un romanzo corale che si legge a perdifiato,
affresco sociale ricco di ironia e di pietà, foto di gruppo di una nazione,
questa cronaca di un giorno apparentemente qualunque in una grande città di
oggi è un'immersione totale nella realtà che ci circonda. Una storia d'amore e
disincanto, di scuola e di lavoro, una notizia da prima pagina e uno straziante
caso di nera. Ma Un giorno perfetto è soprattutto l'anatomia di una famiglia:
ragazze e bambini, uomini e donne, madri e padri, figli e figlie - scene da un
matrimonio in cui tutti noi, nel bene e nel male, possiamo riconoscerci. È il
racconto di un'unica, vorticosa giornata nella Roma di oggi".
* Niccolò Marras
è giornalista del Corriere Canadese di Toronto, nella cui
edizione del 27/10/05 è stato
pubblicato l'articolo sopra riprodotto per gentile concessione.
LETTERATURA CANADESE E ALTRE CULTURE