Nico Bignami
Non so come mi sia perso in questo maledetto
tunnel; non avrei dovuto entrarci, proprio per niente. La solita curiosità per
il nuovo, il mai visto, il mai provato. Da bambino ero affascinato dalle storie
degli esploratori, soprattutto quelli che si avventuravano al Polo Nord; un po’
meno quelli che andavano in Africa. Non mi è mai piaciuto il caldo, e ho sempre
preferito tossire piuttosto che sudare.
E così, trovandomi davanti all’ingresso di
una vecchia miniera abbandonata mentre mi arrampicavo sul fianco della collina,
in una giornata quasi torrida, ho pensato: «perché no? Lì dentro deve far
fresco» e mi ci sono infilato. Dopo aver camminato per alcune decine di metri,
eccomi a un bivio; ho preso la galleria di destra, poi, al bivio successivo,
ancora la galleria di destra. Con metodo e logica da esploratore non ci si può
perdere. Ho continuato ad avanzare con la luce che si affievoliva alle mie
spalle, mentre gli occhi si abituavano al buio. «Io sono come un gatto», mi
sono detto, «io posso andare avanti al buio, non c’è bisogno di tutta quella
luce. Gli animali più importanti e più nobili, prendi i leoni, le tigri, le
pantere, per non menzionare i lupi, sono più attivi ed efficaci di notte, al
buio. Avanti ancora un po’… », finché
«…ora sarebbe meglio ritornare». Confesso che ora è troppo scuro qui; forse
anche un felino farebbe dietro front. E
così faccio.
Cammino lentamente, mantenendomi in contatto
con una parete perché è troppo buio, e aspetto di arrivare a un bivio, ma non
vi arrivo mai. Eppure avevo sempre tenuto la destra, ora dovrò tenere la
sinistra, non mi posso sbagliare.
Forse ho oltrepassato il bivio e non me ne
sono accorto: deve essere così. Meglio tornare indietro, che sarebbe avanti
rispetto a dove sono partito… ma no, indietro, indietro devo andare. E
mantenere la calma, soprattutto.
Provo e riprovo finché, vinto dalla
stanchezza, mi sdraio per terra per recuperare le forze, e chiudo gli occhi.
Ancora più buio, a occhi chiusi.
Non so quanto ho dormito, mi pare a lungo, o
magari poco ma profondamente. Mi sento meglio. Devo essere logico e razionale,
come gli esploratori polari. John Franklin, al comando della prima missione
esplorativa verso l’oceano artico, nel 1826, non perse la testa e riuscì a
cavarsela, nonostante le terribili difficoltà, riportando a casa almeno due
terzi dei suoi uomini. Certo, va anche detto che la seconda spedizione, per la
ricerca del passaggio a nord-ovest, finì in completa tragedia. Solo alcuni dei
componenti, fra i molti che erano partiti, furono trovati anni dopo, morti, con
tracce di piombo e altri metalli nel corpo, avvelenati dai viveri in scatola
che avevano consumato per sostentarsi. Ma io non ho questo problema; non ho
scatolette, anzi non ho niente da mangiare e da bere, e così almeno non morirò
a causa del cibo mal conservato .
Mi alzo e cammino lentamente toccando la
parete del tunnel con la mano sinistra; in questo modo svolterò automaticamente
a sinistra quando arrivassi a un bivio,
anche se non me ne dovessi rendere conto. Avanti, sempre avanti, e coraggio. I
piedi calpestano a volte strisce di metallo con dei traversini, certamente i
resti di una via ferrata per il trasporto del minerale. Qui non fa né caldo né
freddo, non ci sono odori, nessun suono mi perviene.
Certo, per un cieco camminare al buio
sarebbe uno scherzo, loro sì che sanno cavarsela bene in queste circostanze. In
pochi minuti sarebbero fuori. Se avessi almeno un bastone bianco… Ma non
diciamo stupidaggini, cosa me ne farei di un bastone bianco! E se fossi proprio
diventato cieco, all’improvviso, dopo essere entrato nella miniera? Impossibile, mi ricordo che la luce si
affievoliva a poco a poco. Niente panico, niente pessimismi. Me la caverò.
Cammino, cammino, inciampo, cado e mi rialzo
parecchie volte. Mi stendo ancora;
ripartirò quando mi sentirò più riposato.
Ho dormito di nuovo, non so per quanto
tempo; non molto, credo, perché non sento ancora né fame né sete. Quanto tempo
sarà passato da quando sono al buio? Ore? Mezza giornata? Di più? Che sia già il giorno dopo, o
addirittura due giorni dopo? Ho dormito due volte, forse tre, non ricordo bene…
Riprendo la marcia, e tento di misurare il
tempo che passa contando mentalmente i secondi, i minuti… Voglio recuperare il
senso del tempo. Ho letto di prigionieri che segnavano sulla parete della cella
un graffio al giorno, poi una barra trasversale ogni settimana, così sapevano
esattamente quanto tempo era passato. Già, ma loro ci vedevano, i furbi, i
fortunati, i farabutti, che se
erano in prigione qualcosa di male dovevano pur aver fatto. Io invece non ho
fatto niente, sono finito qui dentro e nessuno mi porta cibo o bevande! Lascio
perdere il conteggio del tempo, tanto non è di alcuna utilità pratica.
A volte mi pare che il tunnel salga, poi
scenda, svolti in direzioni diverse, torni addirittura indietro. Non devo dar
retta alle sensazioni fisiche che possono essere errate. Devo fare come quando
si vola in IFR, nelle nubi o di notte: non si dà retta a quel che si prova, si
guardano solo gli strumenti. E io qui come strumento ho la mia mano sinistra
che struscia contro la parete maledetta di questo buco maledetto, che non
finisce mai. Se non perdo la calma, e non cambio posizione quando mi rialzo, a
furia di marciare a contatto della
parete sinistra dovrò arrivare da qualche parte, dovrò uscire di qui.
Ma se avessi invertito la marcia, se avessi
fatto dietro front nel sonno, ci si muove nel sonno, e fossi ripartito nella
direzione sbagliata? Non sono più tanto sicuro che il mio metodo da esploratore
polare mi porterà fuori di qui.
Devo aver dormito ancora, senza
accorgermene, perché mi ritrovo a terra e non mi ricordo di essermi coricato.
Resterò sdraiato finché mi si saranno schiarite le idee e saprò con certezza
cosa fare. Voglio dormire a lungo, voglio ripartire ben riposato.
E
invece no! Così non si fa. Questa è una
scusa per lasciarmi andare, e io non ci casco.
- Never give up, never surrender, avrebbe detto il mio eroe… Se Franklin
fosse qui, farebbe come me. Avanti, sempre avanti! Cammino, ma la marcia
è sempre più lenta. Mi stanco subito, e mi devo fermare spesso per recuperare
le forze. Ma mi stenderò solo quando
avrò l’impressione che siano passate almeno quattro o cinque ore, non prima .
Sono steso bocconi, con un braccio che mi fa
da cuscino: la mia posizione preferita
per dormire. Ho persino dove appoggiare la testa, niente male. Ora non sono più
stanco, ma di colpo un pensiero mi attraversa la mente: forse sono già morto!
Certo, avrei dovuto pensarci prima. Il tunnel, entrare nel tunnel, nessuna
luce… è il simbolo della morte. Ecco perché non ho né fame né sete: sono morto!
Già, ma allora perché mi fa male la mano sinistra che graffia di continuo la
roccia, e provo dolore al ginocchio destro, quello che mi sono ammaccato molti
anni fa, sciando a Courchevel in Savoia? I morti non sentono dolore, e non
ragionano tanto. E ora che ci penso, comincio ad avere fame, e anche sete, e
devo fare pipì! Dunque sono vivo.
Ho deciso: camminerò fino a che non uscirò
di qui, e non mi fermerò prima di allora.
Per ore e ore procedo verso la tanto
agognata via d’uscita. Quando mi sento stanco mi appoggio alla parete, ma di
sdraiarsi neanche parlarne. Se mi stendo non mi alzo più.
A un tratto, mentre sono a riposo, in piedi
come i cavalli, sento qualcosa di umido
sulla roccia. Palpo, annuso, e mi pare si tratti di muschio, o di lichene.
Strappo e metto in bocca; sì, è lichene, fresco e morbido. Mi ricordo che gli
uomini della prima spedizione Franklin si sono salvati perché hanno mangiato
per giorni e giorni questa stessa sostanza, che chiamavano tripe de roche. Così faccio io, e mi accorgo di recuperare un po’
di energia. Oltretutto il vegetale contiene dell’acqua, e ciò mi impedirà di
disidratarmi.
Cammino, mi fermo, strappo, mangio e bevo
anche se non ho poi tanta fame. Ogni tanto cado, mi rialzo; non mollo.
Ora mi pare di vedere del chiaro, in
lontananza. Sarà, ma non voglio illudermi, può essere una fregatura. Un miraggio,
un sogno, un’allucinazione. Continuo ad avanzare. Ma il chiaro è sempre là,
anzi si avvicina, è sempre più visibile. Forse è luce indiretta che entra da
qualche fessura, o forse… Riprendo a sperare.
Quando arrivo al chiaro, mi accorgo che si tratta
di materiale fosforescente, altro che salvezza in vista. Sarà persino minerale
radioattivo!
Continuo ancora un po’, ritorno al buio
completo, e mi assale la disperazione. Mi lascio cadere a terra e comincio a
singhiozzare. Ora so che non uscirò mai
più vivo di qui. Non mi troveranno mai, e nemmeno mi cercheranno mai…
Oltretutto non posso neanche prendere appunti per raccontare quello che mi è
capitato; non morirò nel compimento di un’impresa importante, come la scoperta
del passaggio a nord-ovest, ma finirò in modo banale, addirittura ridicolo,
perché mi sono perso, come uno scemo. Arriverà la morte e mi avrà facilmente,
quella schifosa. E io le sputerò in
faccia e le dirò: - Bella fatica, nevvero?
Mi viene in mente il primo giorno di scuola,
i giochi all’oratorio, il primo lavoro,
la prima moto, una vespa 125. L’incontro con lei, sulla spiaggia di Jesolo, il
primo volo da solo come pilota, e tanti altri bei momenti. La mia vita è stata
assai bella, non mi ricordo niente di brutto; le avventure, i viaggi, gli incontri interessanti, gli amori,
i successi nel lavoro, il cielo azzurro
che persino mi annoiava, a volte, come nella famosa canzone di Celentano.
Non tiravo mai le tende quando andavo a
dormire: volevo sempre vedere la luce.
Le
stelle alpine che coglievo e accarezzavo durante le arrampicate in montagna,
l’odore dell’erba bagnata dalla pioggia, il caffelatte coi biscotti che mia
madre mi portava a letto quando ero malato. Almeno una o due volte ho simulato
la malattia per non andare a scuola e godermi il trattamento così tenero della
mamma. Scusami mamma se ti ho imbrogliato…
Le foglie rosse in autunno, gli scoiattoli
che attraversavano la strada quando mi
recavo a comprare il giornale, ogni mattina.
Un altro ricordo… quando entravo in una
caverna segreta - ma eravamo in molti a
conoscerla - che si trovava sul fianco di una collina calcarea, la Regogna.
Andavo spesso da solo, mi calavo fino in fondo, le stalactiti brillavano alla luce
della candela. Mi sentivo un grande esploratore… Ma allora è un vizio, quello
di entrare nelle aperture della roccia!
Ora non c’è più futuro. Il presente è nero,
il passato era bello, proprio bello. Mi assale una terribile nostalgia:
nostalgia della vita.
Mi rialzo e continuo. Se devo morire sarà
camminando, con la mano sinistra che gratta la parete della galleria.
Non ho idea di quanto tempo sia passato dal
momento in cui sono stato assalito dalla nostalgia; non mi sono più fermato,
avanti, sempre avanti… fino a quando sento dell’aria fresca sul viso. Non è
sufficiente a farmi pensare che potrei essere vicino alla salvezza, non basta
sentire dell’aria, potrebbe venire da chissà dove. Però mi pare anche di
vedere, laggiù in fondo, un nero meno nero… Sarà dell’altro materiale fosforescente?
Continuo ad avanzare, mentre l’aria che mi viene incontro sembra più
forte.
Non
penso a niente, non voglio sperare, non voglio gioire finché non vedrò
veramente la fine del tunnel. E nemmeno allora griderò evviva .
Poi vedo il cielo zeppo di stelle, con tutte
le costellazioni appese lassù per
celebrare il mio ritorno: Orione, l’Orsa Minore, Cassiopea… Rumore di
acqua che scorre in fondo alla valle…
Piango di gioia e mi
butto sull’erba per dormire fino
all’alba. Non si va in giro di notte, al
buio!
Nico Bignami à nato in Italia. La sua attività di
imprenditore, la sua passione per l’aviazione e il suo spirito avventuroso lo
hanno fatto viaggiare per tutte le contrade del mondo. Nel 1978 ha visitato la
Cina per la prima volta. Attratto da quella civiltà è poi ritornato in Cina
numerose volte, studiandone lingua, usi e costumi. Si è trasferito in Canada
nel 1983 e vive a Montreal. Dal 1987 al 2002 ha lavorato in Cina come
consulente aeronautico.
Ha pubblicato articoli e racconti in Italia, poesie
e racconti ( in cinese ) nella Beijing Literature Magazine e in giornali cinesi
di Montreal.
Ha pubblicato:
Touch and go, Edarc Edizioni, Firenze,
2006.
Cina addio e
altri racconti,
Edarc Edizioni, Firenze, 2006.
San Bu, PublishAmerica, Baltimore, 2005.
Cina e
dintorni,
Losna & Tron, Montreal, 2002.
Nostalgia
Nico Bignami
I don' t know how I got lost
in this bloody tunnel. I never should have entered. The usual curiosity of the
unknown, the unseen, the untried ... When
I was a child I was always fascinated by stories about explorers, especially
the ones who ventured to the North Pole, perhaps less fascinated by the ones
who went to Africa. I never liked the heat. I've always preferred shivering
instead of sweating.
So, at the entrance of an old
abandoned mine, while I was climbing a flank of a hill one torrid afternoon, I
thought, why not? Inside it should be cool... and I slipped in. After having
moved forward some fifty meters, here I am at a fork in the road; I take the
tunnel on the right, then at the next fork, again to the right. With the
methodical logic of an explorer one cannot get lost. I continued advancing
while the light behind my shoulders was growing dim and my eyes were getting used to darkness. I
am like a cat, I told myself, I can advance in the dark, there is no need for
that much light. The most important animals, the most noble ones, like lions,
tigers, and panthers, not to mention wolves, are most active and effective by
night, in darkness. Ahead a little bit
more... until... it is time to go back. I confess that now, there is too much
darkness; even a feline perhaps would make a U turn. So that’s what I do.
I walk slowly, using a wall to guide me
because it is too dark; I expect to arrive at the fork, but I never arrive. On
the way in I'd always kept to the right, then I'd kept to the left; I could not
be wrong. Perhaps I'd already gone beyond the fork without noticing it: yes, it
could be. It is better to turn back, which means moving forward with respect to
the point where I started my walk ... oh no, back, I have to go backwards. And
above all, I have to stay calm. I try and try again until, overcome by fatigue,
I lie down on the ground to recover my strength and I close my eyes. It is even
darker with my eyes shut.
I don't know how long I slept; maybe for a long time, maybe just for a few
minutes, but deeply. I feel better. I have to be logical and rational, just
like the polar explorers. John Franklin, in command of his first polar
exploration mission in 1826, didn't lose his head. He did it in spite of
incredible hardship, bringing back home at least two thirds of his men.
However, it has to be said that the second expedition in search of the
I fall asleep again, I don't
know for how long; not too long, I think, because I am not yet hungry or
thirsty. How much time has passed in the dark? Hours? Half a day? Or more?
Perhaps it is already the next day, or even two days later ... have I slept twice,
or three times?
I don't remember clearly ... I
resume my walk, and try to measure the time by mentally counting the seconds,
the minutes... I want to recover my sense of time. I've read of prisoners
tracing a scratch per day on the wall of their cells, then a cross bar every
week. This way they know how much time has passed. Yes indeed, but they could
see, those cunning fortunate bastards. And at least they were in jail because
they had done something wrong. I, however, had done nothing wrong. I ended up
in here with nobody to bring me food or drink!
I drop the idea of counting
time. It’s of no practical use. Sometimes it seems to me that the tunnel
climbs, then descends, turns in different directions, and even turns around. I
have to disregard physical sensations because they can be misleading. I have to
act like a pilot who flies in IFR, by night or inside clouds: he never pays
attention to what he feels. Instead, he looks only at his instruments. Well,
here I have my left hand as an instrument, that drags along this bloody wall of
this bloody hole that never ends. If I
don't lose my calm, and I don't change direction when I rise, well, by
walking along the left wall, I will
arrive somewhere, out of here. But what
if I had changed direction, made a U-turn
– one can move while sleeping –
and had walked in the wrong direction? I am no longer that sure that my
polar explorer method will get me out of
here.
I have slept again, without
realizing; I find myself on the ground
and I don't remember lying down. I will continue to lie down until I've cleared
my mind and I really know what to do. I want to sleep for a long time; I will
set off again when I've recovered. No! I will not do it this way. This is an
excuse to give up; I won’t be caught in this snare. Never give up, never
surrender, my hero would say ... If
strength. However, I will lie down again only when I feel that at least four or
five hours have gone by, not before.
I lie face down, using my arm as a pillow: my
favorite position for sleeping. I have somewhere to lean my head on. Not bad.
Now I am not tired anymore. But suddenly, a thought comes to mind: maybe I'm
already dead! Oh yes, I should have thought of
this. The tunnel, to go into a tunnel... no light... it' s the symbol of death!
That’s why I an neither hungry, nor thirsty: I'm dead! Yes indeed, but, why do
I feel a pain in my left hand that drags continuously against the rock, and why
does my knee hurt, the one wounded many years ago while skiing at Courchevel in
Savoie? Dead people do not feel pain and they don't think that much. And now, I
am even getting hungry and thirsty, and I have to pee! Therefore I am alive.
I've decided: I'll walk until I've found my
way out of here. I will not stop
before. For hours and hours – who knows
how many – I continue longing for the way out. When I feel tired I lean on
the wall; lying down is out of the question. If I do, I will not rise again.
Suddenly, while I'm having a rest standing up, like horses asleep, I feel
something humid and soft on the rock. I touch it, sniff it and it seems to be
moss, maybe lichen. I tear off a bit and put it into my mouth; yes it's lichen,
fresh and soft. I remember that the members of the first
Now I happen to see
a little light, in the distance. It may really be light, but I won't
deceive myself: perhaps it's a swindle;
a mirage, a dream, an illusion. I keep going and the faint light is still there
and it seems even closer; it is more and more visible. Maybe it is indirect
light coming through some holes, or
maybe... I begin to hope again. When I
reach the light I realize it is produced by a phosphorescent mineral: no
salvation in sight. It can even be a radioactive material! I continue a little bit more, in complete
darkness assailed by despair. I let myself fall down and begin to sob. Now I
know I'll never get out of here alive.
They will never find me, they will not even look for me... And, I can’t
even write notes to explain what happened to me. I will not die while trying to
achieve an important mission such as the discovery of the
My first day at school comes to mind, the games I played in the courtyard with
my friends, my first job, and my first scooter, a Vespa 125. I remember the
meeting her on Jesolo beach, my first solo flight and many other beautiful
moments. My life has been quite beautiful. I don't remember anything bad:
adventures, travels, interesting encounters, loves, business success, the blue
sky that sometimes bored me as in the famous song by Celentano. I never drew
the curtain in my bedroom: I always wanted to see the light. My memory drifts
to the edelweiss that I picked and caressed while climbing the
Now it seems that I
will have no future. The present is black, however beautiful – really beautiful
– the past may have been.
A terrible nostalgia assails me: nostalgia for life.
I stand up and continue. If I have to die, I will die walking, with my left
hand dragging along the wall of this tunnel.
I've no idea how much time went by since my attack of nostalgia. I never
stopped; forward, always forward... until I feel some fresh air on my face.
This is not enough to convince me that I'm close to salvation: it is not enough
to feel air that could be coming from anywhere.
But, it seems that down there.. darkness is less dark ... Maybe
phosphorescent material again? I keep going while the air coming to me seems
stronger. I don't think of anything, I
won’t hope yet, I don't want to rejoice until I’ve really seen the end of the
tunnel. And even then, I'll not cry hurray!
Finally, I see the starry sky, with all the constellations hung up there, to
celebrate my return: Orion, Ursa Minor, Cassiopea... The sound of water running
down in the valley caresses my ears. I cry with happiness and I throw myself on
the grass and sleep until dawn. No one should go wandering about at night, in
the dark! I think to myself.
Nico Bignami was born in
He has published articles and stories in
His books include
Touch
and go, Edarc Edizioni,
Cina addio e altri racconti, Edarc Edizioni, Firenze,
2006.
San Bu, PublishAmerica, Baltimore, 2005.
Cina e dintorni, Losna & Tron,
Montreal, 2002.