PRESENTIAMO NINO FAMÀ
Prologo di “La stanza segreta” e Intervista di C. Aliberti
Nino Famà ha un bel
Website http://arts.uwaterloo.ca/~afama/HOMEPAGE.htm
presso la University of Waterloo ove insegna, da cui trascriviamo innanzi tutto
il suo profilo biografico tradotto in italiano:
Nino
Famà è nato a Barcellona P.G. nel 1943 ed è emigrato in Canada nel 1961. In Canada
ha conseguito la laurea B.A. all’University of Brock (1970), il M.A alla
University of Western Ontario (1972) e il Ph.D. alla State University di New
York a Buffalo.
Nino
Famà attualmente insegna Letteratura Latino-Americana alla University of
Waterloo (Canada). Egli ha pubblicato due libri di critica letteraria: Realismo magico en la narrativa de Demetrio
Aguilera Malta (Madrid,
1976) e Las ultimas obras de Alejo Carpentier (Caracas, 1995). Egli è
anche autore di molti articoli e saggi pubblicati in riviste specializzate.
Recentemente
Nino Famà si è dedicato alla narrativa. Il suo ultimo romanzo è intitolato La
stanza segreta. Egli ha anche scritto una raccolta di novelle: Don
Gaudenzio e altre storie.
Nel sito a cui
rinviamo si trova un dettagliato C.V. di Nino Famà (vita, lavoro, pubblicazioni
e conferenze) e in particolare la presentazione di La stanza segreta,
corredata da relativi saggi, articoli, recensioni e un’intervista.
Altri lavori di
critica su Nino Famà che non appaiono nel Website si potranno trovare
nell’importantissimo Archivio digitale al Iacobucci Centre dell’Università di
Toronto, in via di attuazione ad opera del Prof. Salvatore Bancheri, direttore
anche della rivista del Centro Italian Canadiana. Il sito
dell’Archivio è http://anakin.utm.utoronto.ca/~sbancher/
Ci
sono dei momenti in cui le cose sembrano perdere ogni significato. Da quando è
morto mio nonno il mondo si è appesantito, è diventato
più lugubre. Ogni giorno che passa, la mia vita prende nuove pieghe, nascono
nuovi dubbi, come se il tempo covasse in me le sue uova maligne.
Non so se al di là delle vicende personali il mio malessere non sia
esacerbato dall’incertezza generale che avviluppa i nostri tempi. Intanto il
senso di desolazione e di abbandono continua a
logorarmi l’anima: è che non riesco a capire che volto assumerà il futuro,
quali speranze ci porterà, quante nuove angosce sarà necessario affrontare.
E
anche se le mie ansie sono uguali a quelle di tanti altri, tuttavia credo che
siano state le mie vicende personali a farmi precipitare in questa spirale
d’inquietudine che accompagna le mie giornate.
Le mie afflizioni ebbero
inizio quando mio padre e mia madre decisero di andarsene ognuno per i fatti
propri.
All’inizio, dopo la
separazione, avevano continuato a vivere nella stessa città, ma qualche mese
dopo, ottenuto il divorzio, mia madre se ne andò a
vivere a Winnipeg con un uomo d’affari che aveva
conosciuto qualche anno prima. Da allora, e sono trascorsi tanti anni,
l’angoscia che provai in quei giorni non mi consente
ancora di andare a trovarla. Lei si è offerta più volte di pagarmi il viaggio,
ma io detesto i ricatti e non ho ceduto. L’ho rivista un paio di volte quando,
con suo marito, è tornata da queste parti per affari.
Mio fratello Mario e mia
sorella Emma erano allora già maggiorenni
e preferirono andarsene per conto loro; io rimasi con mio padre, almeno
fino a quando avrei finito gli studi. Dopo tutto,
anche se non ero proprio contento, quali altre alternative mi rimanevano?
Abitando con lui avrei potuto continuare a frequentare la stessa scuola e non
avrei dovuto abbandonare i miei amici. Allora avevo dodici anni e queste erano
considerazioni importantissime.
Con mio padre non vi è
mai stato un rapporto di affetto come quello di un
padre verso il proprio figlio. Non so se anche lui fosse
rimasto frastornato dall’assenza di mia madre. Queste cose se le è tenute sempre per sé, di mia madre non ha mai parlato, non
so se per evitarmi qualche dispiacere o perché il rievocare il tempo passato lo
facesse soffrire. Comunque, ci accomodammo ognuno
nella nostra personale solitudine e se, da un lato, non vi furono
manifestazioni di amore reciproco, dall’altro non vi furono mai scontri seri al
di là di qualche raro conflitto o di qualche temporanea baruffa.
L’affetto che mi mancava
in famiglia andavo a cercarlo da mio nonno.
Da quando era rimasto
vedovo, non si era mai allontanato dalla vecchia casa nella quale era vissuto
per tanti anni e lì mi accoglieva sempre con grande
gioia.
E strano che la sua
morte mi abbia causato tanto dolore. Sebbene non sia più un adolescente,
sento un dolore lancinante quando penso che d’ora in avanti non sentirò più la
sua voce e non vedrò più il suo viso di vecchio fanciullo.
Diceva sempre che avrebbe voluto vivere per vedere il nuovo millennio. Non ce l’ha fatta. Ma, ad onore del
vero, non credo che abbia perso granché.
Certe volte penso che di questa mia
fragilità non ne verrò mai a capo. Anche il mio medico,
con tutte le sue domande e relative risposte, mi dà l’impressione di annaspare
nel buio. Sono mesi che vado a trovarlo ogni settimana per quelle che lui
chiama sedute terapeutiche, ma che a me paiono sempre di più una
inutile perdita di tempo. Ma continuo ad andarci come
una piacevole abitudine, come fumare una sigaretta o andare in chiesa la
domenica. Non abbiamo tutti bisogno di qualche
istante di benessere, anche se solo immaginario?
Ma non sempre
quelle visite danno sollievo. A volte capita il contrario,
che esse si tramutino in un vero e proprio tormento. Un tormento
insopportabile che si trascina dentro di me per qualche giorno, almeno fino
alla prossima seduta.
L’ultima volta che ci
siamo visti i miei nervi non hanno retto. Tutto ebbe
inizio quando, dopo un breve dialogo introduttivo, si giunse al nocciolo della
questione.
– Per comprendere bene
il problema – cercò di spiegarmi il mio analista – bisogna
arrivare in fondo, risalire un po’ nel tempo e arrivare alle origini. Quanti
anni ha detto che aveva quando i suoi genitori hanno divorziato?
– Uffa! Camminiamo, camminiamo e rimaniamo sempre al punto di partenza; non ne
voglio più parlare.
– E
invece è importante che ne parliamo. Le fa ancora male parlarne, vero? Mi dica
la verità, su, mi dica: quanti anni aveva?
– Ma gliel’ho detto, ne avevo dodici.
– Mi descriva la sua
prima sensazione quando ha saputo che i suoi genitori si sarebbero separati
definitivamente.
– Sono cose ormai lontane, dottore.
– Lei le deve ricordare.
– È un
passato chiuso a chiave ormai, seppellito, capisce? Mettiamoci una
pietra sopra e basta.
– Non si arrabbi, Nicky, deve tirare fuori
tutto, vedrà, le farà bene. Le sue parole sono ancora rigonfie di amarezza, di dolore, di risentimenti, non se ne accorge?
Tiri fuori tutto, Nicky. Immagini che dentro di lei
ci sia una specie di contenitore ripieno di cose vecchie, fuori uso; lei crede
che non portino alcun disturbo, però ingombrano, pur non accorgendosene sono un
peso che si tira dietro. Mi ascolti: bisogna ripulire tutto, disinfettare e
incominciare daccapo. Non abbia nessuna vergogna, dica tutto, come se si stesse
confessando, non abbia paura se la assalgono delle forti emozioni, non tema le
lacrime, immagini che è tutto un marciume che adesso
viene fuori, e che solo così la sua ferita si potrà risanare. Ora si rilassi,
faccia che il suo passato le si presenti in modo
naturale, come rigurgitare un pasto mal digerito.
– Fu come se
all’improvviso il mondo si fosse capovolto, come se la fine fosse in vista.
Tutto ciò che prima sembrava normale perdette il suo senso, mi sentivo come se
stessi per precipitare nell’abisso, non vi era cosa o argomento che mi facesse riacquistare l’equilibrio. Tutto questo si svolgeva
dentro di me, non avevo voglia di parlarne con nessuno, se qualcuno mi chiedeva
spiegazioni rispondevo che tutto andava bene, che tutto stava a posto, mentre dentro di me quelle domande avevano lo
stesso effetto del sale sulla ferita.
– Per quanto tempo ha provato questo senso di desolazione?
– Perché
mi fa queste domande? Lei stesso mi dice che la mia inerzia, le mie
inquietudini sono residui recalcitranti di esperienze
passate e ora torna a chiedere cose che già sa, come se mi volesse prendere in
giro. Non fa altro che saccheggiarmi l’anima.
– Mi scusi se le mie
domande le hanno creato questa impressione, ma le
posso assicurare che quelle non erano le mie intenzioni. Mi dica, dopo qualche
tempo si sarà almeno calmato un po’, avrà accettato le cose come
erano e si sarà tranquillizzato, si sarà rassegnato alla realtà, che
tutto era andato per il verso sbagliato, ma come succede sempre, quando ci si
trova davanti all’inevitabile, prima o poi si finisce per accettare gli
avvenimenti e ci si rassegna.
– Forse. Non credo di
poter trovare parole adeguate per descrivere tutto ciò che ho provato. Dopo un
po’ di tempo ho incominciato ad andare sempre più spesso da mio nonno. Mia
nonna era morta da poco, ma quando arrivavo io mi accoglieva
sempre con un bel sorriso, sembrava così contento di vedermi.
– E lei era contento di vedere suo
nonno?
– Era
diventato così importante vederlo, non mi so spiegare... il suo
sorriso... la sua accoglienza... stare in sua presenza mi dava un senso di
sicurezza. Credo che mi volesse veramente bene,
l’unica persona che non suscitasse in me alcun dubbio, alcun sospetto della sua
sincerità. Allora pensavo solo a me stesso ma oggi, riflettendoci bene, credo
che anche mio nonno provasse un po’ di solitudine dopo
la morte di mia nonna, ma a me sembrava così rassegnato. Così
forte che non mi passò mai per la testa che una persona forte come lui potesse
soffrire. “Nicky, siediti qua
accanto a me”, mi diceva, e poi mi parlava sempre di cose belle, della sua
terra, della sua famiglia. Erano tutte cose che io non conoscevo e per il modo
in cui le raccontava sembrava che stesse parlando del paese delle meraviglie,
ma ripensandoci ora, credo vedesse le cose attraverso
il velo della nostalgia, che lui agognasse quel paese che aveva lasciato nella
sua gioventù e dove non era più tornato.
– Vede, anche suo nonno
si era separato da qualcosa a lui cara. Se ci pensa bene, suo nonno, alla sua età, aveva lasciato
genitori, fratelli, sorelle, amici, patria, eppure si era rassegnato. Che lo vogliamo ammettere o no, la vita è come un viaggio in
treno, un continuo scorrere e lasciare indietro, una continua perdita di cose
che ci sono care e che rimangono nella nostra memoria come chimere sospese nel
tempo.
– Tutte le cose che mi
raccontava sono rimaste così vive nella mia mente, come rocce incastonate
dentro di me. Solo lui mi viene in mente nei momenti della mia più profonda
disperazione. “Nicky, dovresti andare un giorno a
vedere la terra di tuo nonno”, mi ripeteva spesso come se spettasse a me adesso
compiere quello che lui non aveva fatto. Gli promisi che un giorno l’avrei
fatto e lui ne rimase contento.
– Anch’io
glielo consiglio. Scoprire la terra degli antenati è un po’ come recuperare un
pezzo di se stessi.
Già, trovare le proprie radici. E a parte
ciò questo viaggio a mio nonno glielo devo. Un giorno
o l’altro lo farò. Per adesso però non saprei nemmeno
da dove cominciare.
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* Nino Famà. La stanza
segreta. Caltanissetta-Roma: Sciascia
Editore, 2004 Pp.190.
Incontro Con Lo Scrittore Nino
Famà
di
Carmelo Aliberti*
C.
A. Come è nata in Lei l’urgenza di
scrivere?
N. F. Credo che nel mio caso particolare scrivere sia una
necessità di dialogo. Soprattutto dialogare con la mia terra
lontana. Colmare con la scrittura quel vuoto di esperienze
mancate che esigono risposte. Quindi, scrivere è seguire il
dettame di un impulso, di un’immagine che persiste e ci ossessiona. Poi
si cerca il personaggio o personaggi che rappresentino
quell’idea e successivamente si identificano le vicende, storiche, sociali o
psicologiche che diano vita ai personaggi e significato alla narrazione.
C.
A. Nel primo volume di racconti, il motivo del nostos
si coniuga come il bisogno di una congiunzione “panica”
con la terra delle origini, in un’atmosfera di sapore verghiano.
In che misura l’opera dello scrittore siciliano ha influenzato le tematiche della Sua prova d’esordio?
N. F. Don Gaudenzio ed altre storie, il volumetto
di racconti pubblicato nel 1996, è stata una cosa del
tutto spontanea, una specie d’impulso interiore che mi spingeva a ricreare
scene di un mondo contadino, visto con l’occhio della memoria e sostenuto da
una visione mitica della realtà. Certo che in quei racconti
si fa palese l’angoscia dell’esilio dell’anima. Credo che la scrittura
di Verga faccia un po’ parte del nostro ritmo interiore. Il suo stile, i temi
che tratta ci appartengono anche se non ne siamo totalmente consapevoli,
l’impronta verghiana è una specie di DNA, qualcosa
che abbiamo nel sangue.
C.
A. Anche Nicky,
il protagonista de La stanza segreta (Sciascia editore 2004), rampollo di emigranti siciliani in
America, nell’età della ragione è invaso da vittoriniani
“astratti furori” che lo spingono in una condizione di alienazione e di
nevrosi, tanto da immobilizzarne ogni propulsione vitalistica. Da quale ragione
è stata determinata una tale dimensione interiore?
N. F. È la storia di un giovane universitario che vive un
po’ i problemi della sua generazione, cioè i problemi
della nostra società post-moderna. I valori standardizzati di una società
consumistica, la mancanza di rapporti affettivi, il divorzio dei genitori, il
rapporto poco felice con il padre con cui vive, lo fanno scivolare in una
nevrosi acuta che nemmeno le frequenti sedute con il
psichiatra riescono a mitigare. Essendo Nicky
un giovane emigrante di terza generazione, soffre quella scissione tra un qui,
la cultura del paese in cui è nato e vissuto ed un altrove, fomentato
dall’immagine edenica che il nonno ha creato nella sua coscienza. Dato
il suo senso di smarrimento, quell’altrove, la terra
del nonno, diventa l’agognato spazio della ricerca delle sue radici, nonché lo
spazio della speranza. Quindi, la fonte dell’angoscia e dell’alienazione del
giovane non è una sola e non è nemmeno così facilmente decifrabile, per cui, la causa degli astratti furori di Nicky va ricercata, sì nelle vicissitudini della sua vita
personale, ma anche nei condizionamenti sociali dell’epoca che gli tocca
vivere.
C.
A. Lei applica al personaggio in crisi terapie psicoanalitiche di ascendenza Freudjunghiana, che
procedono ad una ipotetica chiarificazione interiore, attraverso la tecnica della trascrizione
diaristica. Quali esiti produce tale soluzione negli
sviluppi e nella restituzione del protagonista alla propria identità?
N. F. Credo che al di là dei
problemi personali, soggiace nella coscienza di Nicky
un’angoscia causata da una profonda crisi d’identità che spinge il personaggio
al baratro di una crisi esistenziale. Più che le sedute con lo psichiatra, che
il giovane studente odia, sono le frequenti visite dal nonno che lo
tranquillizzano. Quindi, ciò che il nonno racconta della sua terra lontana agisce sulla coscienza del giovane studente e
risveglia in lui un ipotetico cammino verso le proprie radici. La trascrizione
del diario del nonno si trasforma, dunque, in una necessità: quella della
ricerca di un’identità, ma anche quella della ricerca del luogo della speranza.
C.
A. Nella riappropriazione memoriale della
civiltà di una terra, emerge un particolare sentimento religioso, come
commistione tra un retaggio magico-rituale-feticistico
e la prospettiva di un cristianesimo concreto ma dinamicamente poco definito.
In realtà, quale tipologia religiosa risulta, alla fine, preponderante ed
insostituibile?
N. F. Credo che il
contadino che viveva in un ambiente semi primitivo,
come Toloma, possedeva una profonda fede cristiana.
Ciò nonostante, egli non si sottraeva ad altri riti di magia o di feticismo di
provenienza popolare. Gli abitanti di Toloma vivono
una realtà quasi primordiale, dove il loro rapporto con la natura e con la
terra trascende anche la loro fede cristiana. In altre parole, la mente
contadina non sa e non si pone mai il problema che risulta
dalle varie contraddizioni presenti nelle loro credenze.
C.
A. Il sentimento della natura, intesa sia come necessità di nòstos, che come assoluto valore terapeutico, intride i
percorsi del ricordo e della espansione del cuore di Nicky, in cui sembrano rifrangersi gli echi delle opere di
Verga, de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e il
ritratto di Colapesce. Quali funzioni Lei attribuisce
nel romanzo alla natura e quali al rapporto tra la sua concezione della natura
e il sentimento religioso del personaggio?
N. F. Per chi ha radici contadine, ma anche per chi è
sempre vissuto in città, il sentimento della natura si manifesta in varie
forme. Il desiderio del nòstos,
contenuto nel seno della natura, credo sia valido per chi lavora la terra, ma
anche per chi desidera evadere dalla città per una vacanza o per un weekend.
Infatti, i rumori della città ci infastidiscono
facilmente, ci straziano, ci rendono nervosi, ci sentiamo aggrediti, stremati.
Invece il fruscio del vento, o lo scorrere dell’acqua d’un
ruscello ci calma. Credo che i ritmi della natura siano ritmi cosmici che
entrano in sintonia con il nostro ritmo interiore. Come detto in precedenza,
questi autori siciliani hanno creato delle opere nelle quali ci riconosciamo, hanno creato immagini che rispecchiano il nostro inconscio
collettivo e quindi mi sembra naturale che si riverberino echi di questi grandi
maestri, anche se questa non sia stata una cosa voluta .
C.
A. Aleggia sullo sfondo della storia e ne condiziona una parte dell’esistenza
dei tolomesi l’ombra invadente del fascismo e delle
categorie sociali ad esso collegate. Quale incidenza
svolge il regime sulla storia della piccola comunità di Toloma
e in che misura tale realtà riflette la più generale condizione dell’Italia di
allora?
N. F. Il contadino
siciliano aveva vissuto una delusione dopo l’altra dall’unificazione in poi. L’avvento del Fascismo, anche se inizialmente crea entusiasmo in
alcuni, perché una nuova politica, un cambio di direzione, alimenta sempre la
speranza dei cittadini. Ma se da una parte il
contadino sperava nelle promesse miracolose del regime, dall’altra rimaneva
diffidente, le frequenti delusioni gli avevano insegnato ad essere pessimista,
e sapeva bene che l’unica cosa su cui poteva contare erano le sue braccia. Quindi, anche se inizialmente i tolomesi
accolgono il Fascismo con indifferenza, con il passar del tempo incominciano ad
avere dei sospetti. Credo che a livello nazionale gli atteggiamenti non siano
stati così diversi, ma tutti conosciamo le
vicissitudini storiche di quel periodo.
C.
A. La figura della donna, in particolare di Emily, si rivela importante ad arginare il dilagare dei
“mostri” della civiltà post-moderna nella coscienza di Nicky.
Perché appare riduttiva (e non redentiva)
la sua funzione nel viaggio interiore del protagonista?
N. F. Emily
è una amica sincera, ma non disposta a sacrificare
nulla di suo. Il rapporto che lei ha con Nicky è un
rapporto comodo che non deve per nulla interferire con le sue aspirazioni. Le
stesse caratteristiche assume il personaggio della madre di Nicky,
segue la sua strada senza mai preoccuparsi dell’impatto che le sue azioni
possano avere sugli altri ed in particolare sulla sua famiglia, i suoi figli.
Fa ciò che le conviene. Diverso è l’atteggiamento della donna di Toloma. Sia Berta che Nicoletta svolgono
il ruolo di madre, di moglie e sono l’incarnazione dell’amore altruista. Quindi
due tipi di donna: Emily
e la madre del protagonista rappresentano i valori che
ci propone il mondo post-moderno, mentre Berta e Nicoletta rappresentano quei
valori primordiali inerenti all’essere umano.
C.
A. Evidente è lo scontro tra due tipologie di civiltà, quella della
religione del focolare domestico di stampo patriarcale
e quella della società delle trappole di perdizione e di morte, di cui Nicky è rimasto prigioniero. Vuole gentilmente delineare le connotazioni e i condizionamenti delle due
contrapposte forme di valori sul dipanarsi delle vicende?
N. F. È vero che nel
romanzo si presentano due mondi diversi con atteggiamenti totalmente contrari.
Sebbene la voce narrante rimanga al di sopra delle
parti, cioè, non giudica, lasciando che il lettore tragga le proprie
conclusioni, rimane evidente, tuttavia, il contrasto tra il mondo frivolo dei
nostri tempi e quello più antico degli avi contadini, che nonostante
l’indigente miseria, vivevano con dignità la loro vita. I rapporti affettivi
che vengono a mancare nella società moderna erano dei
capisaldi sacrosanti di quella degli antenati.
C.
A. In che misura il recupero della civiltà
delle radici contadine può ancora essere valido in una società fagocitata dal
consumismo, da forme di tecnologia così avanzate dove l’uomo sembra volersi
sostituire allo stesso Dio?
N. F. Credo sia il dovere
dello scrittore creare un mondo a passo d’uomo, un mondo sorretto da impulsi
cosmici dove uomo, terra e universo siano guidati da uno stesso ritmo cosmico.
Nel nostro mondo moderno l’uomo è diventato uno strumento, un oggetto del
consumismo ed ha perso il senso d’identità e di dignità umana. Credo che un
ritorno alla civiltà contadina, se non come realtà, come metafora d’un mondo più semplice, sia ancora valida.
C.
A. Con un recupero oscillante tra realismo e visionarietà, il
protagonista nell’incontro naturalistico di Toloma,
ritrova la quiete interiore. Nella Sua invenzione narrativa, quanto
realisticamente risolutiva può essere la tecnica del nòstos
della crisi che lacera le coscienze delle nuove generazioni, e quanto, invece, di utopica sovrapposizione letteraria? Insomma, può ancora
la letteratura influire sui percorsi di maturazione interiore, oppure lo
scrittore, il poeta, viaggiano in un mondo astratto che, anziché restituire
all’uomo gli assoluti valori dello spirito, li trascinerà in un astratto contesto di autoinganno che finiscono con il sospingerlo
verso la deriva esistenziale?
N. F. Anche
se esiste una letteratura intenta a travolgere il lettore, trasportarlo a mondi
fantasiosi e affascinanti, questa letteratura vuole solo divertire e
intrattenere e non ci stimola a pensare. Ma esiste
ancora lo scrittore, il poeta, che scrive perché spinto dall’angoscia
esistenziale e quindi la scrittura si trasforma in una specie di ricerca
dell’io, per sondare le ragioni dell’essere. Quindi,
la ricerca si svincola nel tempo e nello spazio, ma è sempre spinta dai valori
dell’anima. Unamuno, il grande
filosofo spagnolo, equiparava il divertimento, lo svago, con il desiderio di
dimenticare chi siamo, mentre la grande letteratura non si propone di
divertire, ma di creare consapevolezza.
C.
A. Particolarmente agile, elegante, densa di figurazioni analogiche risulta la tecnica espressiva, sempre funzionale alla
progressione espressiva, che sembra omogeneamente fondersi all’incredibile profluviare dell’immaginazione. Quali modelli letterari
hanno inciso nella sua originalità elaborativa e
quanto, invece, il Suo lavoro di lima e il patrimonio personale di esperto di linguistica e studioso di letteratura?
N. F. Questo romanzo è stato scritto e riscritto una
quindicina di volte. Non credo di aver seguito un modello particolare, ma devo
dire che alcuni modelli siciliani fanno parte del nostro sapere collettivo e
che durante la mia carriera di docente della letteratura ibero-americana
avrò assimilato tantissimi modelli narrativi senza
saperlo.
* Carmelo Aliberti, poeta e critico letterario. Caro dolce
poeta, Il giusto senso, I luoghi del tempo, Aiamotomea; sono solo alcune delle numerose
collezioni di poesia pubblicate da Aliberti. Ha anche
pubblicato numerosi studi monografici su Ignazio Silone,
Michele Prisco, Fulvio Tomizza, Carlo Sgorlon e tanti altri.
LETTERATURA
CANADESE E ALTRE CULTURE