Rivelazione
di Angela Leuck
(segue
originale inglese)
Ogni anno Martine passa
un periodo in campagna con suo padre, un geologo in pensione. Quest’anno è
piovuto quasi continuamente e i due si muovono con difficoltà uno intorno
all’altro nei limiti ristretti della casetta di legno, in mezzo a pile di
campioni di minerali e a grafici inerenti la vita di scavi di suo padre. Come
tutti gli anziani geologi lui sa di un luogo insospettato che li avrebbe fatti
ricchi, se solo ci fosse stato abbastanza denaro per raggiungerlo, per
costruire strade e scavare un pozzo giù giù nel terreno.
Come sempre, Martine
cerca di comportarsi da figlia sottomessa. Si domanda chi sia meno a proprio
agio durante queste visite, suo padre o lei. Ha sempre saputo di non poter
competere con quelle pile di sassi. Persino ora, nella settantina, suo padre è
ancora affascinato da ciò che c’è dietro il grezzo aspetto esteriore, la
significativa e spesso sorprendete bellezza dell’interno. Lei cerca di riempire
i lunghi umidi giorni con periodi di meditazione, utilizzando l’eterogenea
collezione di cuscini ammuffiti in giro per la casetta. Rimpiange di non aver
portato i propri cuscini, ma benché suo padre non abbia mai espresso una decisa
obiezione al suo essere affascinata, a quel punto della sua vita, dallo Zen,
sospetta che non lo approvi completamente.
Mentre ogni giorno
piovoso è seguito da un altro, Martine trova che il tempo scorre lentamente in
modo insopportabile. Negli scaffali di suo padre non ci sono libri non già
letti che la interessino. Pensando che avrebbe passato la maggior parte del
tempo all’aperto, facendo lunghe camminate e gite in canoa, lei stessa ne ha
portato soltanto uno – una scelta infelice, pensa adesso – un denso testo
buddista nel quale non riesce a entrare del tutto.
Si perde a guardare
fuori dalla larga finestra del soggiorno. La pioggia è a momenti così intensa
che riesce a vedere gli alberi e il lago solo indistintamente. Diventerà
un’arca, la casetta, e li porterà via in tutta quella pioggia? Che cosa
bizzarra, riflette, se dovessero essere gli unici salvati. Tuttavia,
naturalmente, la casetta si mantiene salda e i giorni fluiscono monotonamente
uno nell’altro.
Una sera, alla fine
della prima settimana, dopo la cena durante la quale tutti e due hanno
piluccato il cibo fino a che vi hanno rinunciato, portato i piatti in cucina
svuotandoli degli avanzi nel bidone della spazzatura, lei nota all’improvviso che suo padre è diventato
magro. Troppo magro, si rende conto con preoccupazione. Lei stessa è alta e
sottile. Da quando pratica lo Zen si è sentita diventare più leggera, come se
fosse vuota dentro, e quando si siede deve vincere l’assurda sensazione di
andarsene via galleggiando da qualche parte. C’è stato un tempo in cui, seduta
sui cuscini, ha pianto incontrollabilmente. Sa che è solo uno dei molti stadi
da superare sulla via della rivelazione.
Nella sua altra vita,
come traduttrice, ha avuto un buon anno di successi. Uno dei libri che ha
tradotto – un romanzo breve di un giovane e nervoso scrittore del Quebec – ha
persino vinto un premio. Lei non ha partecipato alla cerimonia, e il premio le
è stato spedito. All’inizio ha appoggiato su uno scaffale il certificato
incorniciato, ma dopo una settimana lo ha messo in un cassetto, lontano dallo
sguardo. Non ne ha parlato a suo padre. Probabilmente lui ne avrebbe provato
piacere, ma non sa come dirglielo senza che sembri che – in qualche modo – lei
stia ancora cercando la sua approvazione.
Stasera siedono entrambi
nel soggiorno. Il lampadario centrale non è stato acceso e ciascuno di loro si
trova nel cerchio di luce di due lampade scompagnate. La pioggia è cessata.
Sono chinati sul proprio libro in silenzio quando, all’improvviso, suo padre
comincia a parlare. È così sorprendente che all’inizio Martine si domanda se
lui stia veramente rivolgendosi a lei o se stia semplicemente leggendo ad alta
voce qualcosa che lo ha colpito.
“Com’è la tua vita in
questo periodo?”, le domanda. “Va tutto bene?” Lei non riesce a vedere il suo
viso che resta in ombra.
La sua vita è la stessa
di sempre, il lavoro, la meditazione, o forse ora l’ordine di precedenza è capovolto. Anche i
suoi amici sono cambiati, le vecchie conoscenze sono state sostituite da chi
siede accanto a lei nel salone della meditazione, ogni particella del loro
essere concentrata ad afferrare una se pur piccola parte di comprensione. Come
può spiegarlo a suo padre?
“Abbastanza bene”,
risponde. “Non posso lamentarmi”.
Pensa a una finestra del
suo appartemento in città che era stata ridipinta da chiusa e che era difficile
da aprire. In effetti l’aveva lasciata stare per anni, finché l’estate
precedente il caldo era stato così insopportabile che aveva deciso che doveva
aprirla a ogni costo. All’inizio sembrava completamente bloccata, fino a che a
forza di spingere e di tirare finalmente aveva cominciato a muoversi. Sembra
succeda ora la stessa cosa con suo padre, il suo sforzo di parlare, quando per
anni hanno a mala pena discusso gli aspetti più superficiali della loro vita.
“Stai diventando troppo
solitaria”, prosegue, sorprendendola, perché lui stesso è sempre sembrato
contento di starsene da solo, non è mai sembrato aver bisogno della compagnia
di altri. “Sei ancora giovane. Non hai mai pensato a risposarti?”. Ora che ha
iniziato sembra incapace di fermarsi, e continua velocemente: “Tu e Roger
eravate troppo giovani quando vi siete sposati, Martine. Era destino che non
funzionasse. Non mi piace saperti sola”.
In realtà è lei che,
come figlia unica, dovrebbe preoccuparsi di lui, un genitore anziano che vive
da solo in campagna. Non capisce perché lui stia dicendo queste cose. Non è per
niente da lui. Anche che abbia nominato il suo ex marito, Roger, è
sorprendente. Lei non pensa quasi più a lui. Sa che è diventato un avvocato di
successo, che si è risposato e che ha avuto diversi figli. Il loro breve
matrimonio è stato appassionato e intenso e semplicemente – forse
inevitabilmente – si è consumato al suo stesso fuoco. Le varie insoddisfacenti
relazioni che lo hanno seguito hanno avuto l’effetto di farla concentrare più
completamente sul suo lavoro, cosa che non ha mai rimpianto, anche se adesso
tradurre è stato messo in ombra dal suo interesse per lo Zen. In ogni modo suo
padre deve sapere che il tempo di aspettarsi dei nipoti è passato, lei non è
più giovane, è troppo abituata alla sua vita solitaria.
“Mi dispiace di non
esserci stato mentre crescevi”, aggiunge suo padre, ora chiaramente come un
nuotatore che emerge cercando freneticamente di aggrapparsi a qualcosa. “Quando
tua madre è morta non sapevo che cosa fare. Mi sono appoggiato ad altri, forse
troppo. Perdere tua madre è stato terribile, ma tu sei stata una benedizione,
Martine. Voglio che tu sia felice”.
Mai in tutti gli anni
della loro vita in comune suo padre aveva parlato così. Forse c’era stato un
tempo in cui lei avrebbe avuto bisogno di udire queste parole, più di ogni
altra cosa, quando avrebbero persino potuto alterare il corso della sua vita.
Ma ora esse sembravano fuori posto e stranamente imbarazzanti. Lei sa che la
morte di sua madre alla sua nascita non è stata colpa di nessuno, è stato un
fatto della vita, qualcosa al di là della sua possibilità di scegliere. Le ci
sono voluti anni di meditazione per accettarlo. Martine decide di attribuire la
tirata di suo padre all’effetto dei troppi giorni di pioggia. Lo hanno messo in
uno stato d’animo strano, eccessivamente sentimentale. Eppure, sente che lui le
sta chiedendo qualcosa.
“Sono contenta di come
vivo”, dice alla fine, non volendo avventurarsi su un terreno incerto,
inesplorato. Ascolta il suono della propria voce, domandandosi se le parole
hanno un accento di verità.
E allora la finestra,
che in qualche modo era stata aperta dopo tutti quegli anni, si chiude di
nuovo. Suo padre scivola nel silenzio. I cerchi di luce intorno a loro li
chiudono in compartimenti separati e lei deve convincersi che la conversazione
ha veramente avuto luogo. Dopo qualche minuto si alza per andare in cucina,
dandosi da fare là per un po’, mettendo a posto i piatti. Quando torna suo
padre ha già spento la sua lampada ed è andato in camera sua.
La mattina dopo non
piove più e verso mezzogiorno il cielo comincia a schiarirsi e il sole si fa
vedere, splendido e sfavillante. Indossando un vecchio paio di stivali di gomma
di suo padre, troppo grandi per lei ma necessari in un giorno come quello,
Martine scende i tre gradini sul davanti della casetta e resta in piedi sul
terreno inzuppato d’acqua. L’aria è fragrante per il profumo del muschio e
delle foglie, e lei l’aspira ingordamente. Cammina fino al lago e si guarda
intorno, quasi non credesse al senso di libertà che prova essendo all’aperto. Evitando le profonde, trasudanti
chiazze di fango e le ampie pozzanghere, si dirige verso il tratto di foresta
che comincia dall’altra parte del ponticello di legno a destra della casetta.
Non si allontana molto, ma si ferma a lungo sotto i pini ancora gocciolanti e
avverte che la tensione lentamente lascia il suo corpo. Per la prima volta da
quando è arrivata in campagna, quest’anno, comincia a rilassarsi. Quando torna
alla casetta si sente ristorata, saluta suo padre con un sorriso e siede sul
primo gradino per aspettare il loro vicino, Rejean.
Benché abbia chiamato
per dire che sta arrivando, sono già passate le tre, e Martine pensa che non
verrà per niente. Non che loro abbiano bisogno delle provviste che porterà, o
della posta, ma lei vuol vedere una faccia diversa, ha bisogno di entrare in
contatto con un mondo al di fuori del loro, troppo piccolo e isolato. Conosce
da anni Rejean, contadino non troppo convinto, che Martine sospetta faccia più
soldi aiutando suo padre e liberando la strada d’ inverno che coltivando la
terra. Finalmente scorge il suo furgone rosso guizzare tra gli alberi. Scende
il sentiero fino alla radura per andargli incontro. Il furgone scende
lentamente la ripida pendenza e poi segue la strada stretta, segnata dalle
ruote, lungo la curva del lago. La saluta con la mano quando la vede.
Martine sorride quando
Rejean esce dal furgone, ma lui le risponde con un sorriso appena accennato.
“Non sapevo se saresti venuto”, lei dice
all’improvviso, non sapendo che cosa altro dire.
“Se tu e tuo padre avete
bisogno di qualcosa non avete che da prendere il telefono e chiamarmi, lo sai”,
risponde, quasi sulla difensiva, come se lei lo avesse criticato.
“Mio padre è fortunato di
averti come vicino”, lei dice in fretta. “Nessuno avrebbe potuto fare più di
quanto tu abbia fatto”. Vorrebbe dire di più, come ha reso possibile per suo
padre di vivere lì, e per lei, quando torna in città, come la faccia sentire
sicura sapere che c’è qualcuno che vigila su suo padre, che lo sorveglia.
Ma Rejean sembra di
malumore, si gira in fretta per prendere i sacchetti dal furgone. Ha problemi
personali, lei lo sa, quest’uomo che era ancor giovane quando lo ha incontrato
per la prima volta, e che in passato le ha fatto la corte. Oggi non dà segno
della sua solita cordialità, e camminano verso la casetta senza parlare. I
lunghi giorni di pioggia, pensa Martine, hanno gravato anche su di lui.
I giorni seguenti sono
caldi e soleggiati. Il terreno si asciuga e lei cammina tra erbe che sono
cresciute dense e all’altezza della vita. Mosche e zanzare sono peggio del
solito. Per tentare di liberarsene prende la canoa, la spinge giù per la
stretta spiaggia sabbiosa sino al lago. La canoa scivola tranquillamente sull’acqua
che è quasi completamente immota. C’è soltanto la piccola onda che lei produce
avanzando . Rema con leggerezza, quel tanto che basta per spingere in avanti la
canoa senza provocare troppo scompiglio. In un certo modo assomiglia alla sua vita
in città. Sola nel suo ampio appartamento quasi vuoto vive una vita semplice,
cercando di non creare scompiglio, cercando di non far male a nessuno con il
suo passare nel mondo. Sente che è questo che significa la sua vita: imparare
come riuscirci.
Si dirige verso la
roccia direttamente di fronte alla casetta, al di là dell’acqua. È una enorme massa di granito di
forma pressoché quadrata. Anni prima, prima che suo padre acquistasse la
proprietà, qualcuno ha costruito una rozza scala di legno che conduce alla
cima, circa dieci metri più in alto. Guida la canoa verso la riva, salta nell’acqua bassa e tira la barca
sulla spiaggia sassosa. La scala è vecchia e traballante. Fa con precauzione
qualche passo per controllare se è ancora solida, poi comincia a salire.
Una volta in cima può
vedere l’intera proprietà di suo padre, i due piccoli laghi congiunti, più
avanti le paludi, la curva delle colline coperte di alberi. Può anche tornare
con lo sguardo alla casetta, dove adesso vede suo padre uscire dalla porta sul
davanti e andare alla sua sedia sul terrazzo. Nota che non guarda in giro per
cercarla, cosa che le fa piacere e – insieme – le crea disappunto. L’enorme
pezzo di roccia su cui siede è caldo di sole, la grande massa scura è elemento
familiare della sua infanzia. È la roccia su cui è venuta in molte occasioni,
se non fosse che per sentirne la solidità, l’ inamovibilità. Piantato nella sua
memoria dagli anni passati in Francia in una scuola tenuta da religiosi, non
può impedirsi di ricordare il potente simbolo cristiano che rappresenta. Eppure
ha lasciato da molti anni la fede dei suoi antenati. Come la madre che non ha
mai conosciuto.
Cerca di immaginare suo
padre, solo con lei, all’inizio. Un uomo già allora non tanto giovane e
abituato al suo mondo inanimato di sassi, come sarà riuscito ad adattarsi da
solo alle richieste di un neonato bisognoso di tutto, piangente? Martine
ricorda la lunga serie di persone, sempre presenti nei momenti di necessità,
che si prendevano cura di lei nei primi anni, e quando suo padre era via per
lavoro. Più tardi era venuta la protezione del convitto e della università. In
qualche modo se l’erano cavata, suo padre e lei.
Martine guarda di nuovo
al di là del lago e nota che suo padre è rientrato. Sopra di lei vede anche le
prime nuvole scure. Era troppo aspettarsi, pensa, che la pioggia non avrebbe
ripreso a cadere. È stata troppo pronta a credere che tutto sarebbe andato bene
e senza problemi. Come le nubi che impercettibilmente ma decisamente di muovono
nel cielo, cambiando la luce e il suo stesso umore, comincia a lasciar vagare i
propri pensieri, a lasciare che seguano un loro percorso. E si rende conto,
solo ora, qui, in cima a questa roccia, che c’è qualcosa che non va. La
magrezza di suo padre, i suoi commenti inaspettati, il modo in cui Rejean non è
stato capace di incontrare il suo sguardo. Sì, sta diventando ovvio per lei
ora, così ovvio che non riesce a credere come abbia potuto essere così cieca.
Com’è possibile che non abbia capito? È così assorbita in se stessa da non
poter vedere ciò che le sta chiaramente davanti … - suo padre è malato. La
consapevolezza, la certezza della sua intuizione, si diffonde in lei. Sa già,
come se fosse accertato, che non ci sarà un altro anno, che suo padre non sarà
qui l’estate prossima.
Per un attimo il suo
mondo minaccia di disintegrarsi, ma è qui sulla roccia, questo immenso pezzo di
pietra che non cederà, non registrerà neanche la più lieve scossa a questa
rivelazione. La sua mente corre in avanti, cercando di lottare con ciò che
succederà. Ma poi, intromettendosi nei suoi pensieri, vede improvvisamente gli
alberi dietro di lei, sul pendio. Il vento sta soffiando e hanno cominciato a
stormire e a ondeggiare. Il cielo sta diventando più scuro, le nubi più
minacciose.
Deve scendere adesso,
prima che inizi il temporale. La scala di legno si scuote in modo allarmante
mentre scende. Una volta a terra corre alla canoa e la spinge in acqua. Nel suo
viaggio di ritorno attaverso il lago non è spaventata dalle onde tempestose. Ha
esperienza, ha attraversato il lago molte volte con un tempo peggiore, ma ha
bisogno di tutta la sua forza per remare. Come sembra lento il suo progredire,
ora, come sembra piccolo il suo stesso risvegliarsi, inghiottito dalle ampie
onde del lago.
(traduzione di Elettra Bedon)
*****
Angela Leuk è scrittrice di racconti e poeta di
haiku il cui lavoro è stato pubblicato in riviste di tutto il mondo. È autrice di haiku white e haiku noir
(carve, 2007) e di Flower Heart (Blue
Ginko Press, 2006); ha curato diverse antologie di poesia, tra cui Rose Haiku for Flower Lovers and Gardeners
(Price-Patterson, 2005), Tulip Haiku
(Shoreline, 2004), e – con Maxianne Berger, Sun
Through the Blinds: Montreal Haiku Today (Shoreline, 2003). È attualmente la
rappresentante per il Quebec della League of Canadian Poets.
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Enlightenment*
By Angela Leuck
Every
year Martine goes to the country to stay with her father, a retired geologist.
This year it has been raining almost steadily and the two of them move uneasily
around each other in the cramped confines of the log cabin, past piles of
mineral samples and charts from her father's lifetime of digging. Like all old
geologists, he knows of a strike that would make them rich, if only there were
money enough to be able to reach it, to build roads through the bush and sink a
shaft deep into the earth.
As
usual, Martine tries to play the dutiful daughter. She wonders who is more
uncomfortable with these visits, her father or her. She has always sensed there
is no contest with his piles of rocks. Even in his seventies, he is still
intrigued by what lies beneath the unpolished exterior, the meaning and often
startling beauty within. She attempts to fill the long wet days with sessions
of meditation using the motley collection of musty cushions she finds around
the cabin. She regrets now not bringing her own sitting cushions, but while her
father has never expressed any outright objection to her midlife fascination
with Zen, she suspects he does not entirely approve.
As one
day of rain follows the next, Martine finds that time drags on unbearably.
There are no unread books on her father's shelves that interest her. Thinking
that she would be spending much of the time outdoors, taking long hikes and
canoeing, she herself brought only one, an unfortunate selection she now
thinks, a dense Buddhist text that she can't quite settle into.
She
stares out the large window of the living room. The rain is at times so thick
that she can see the trees and the lake only indistinctly. Will the cabin
become like an ark and carry them off in all this rain? A bizarre state of
affairs, she reflects, if they were the only ones to be saved. Yet, of course,
the cabin holds firm and the days blend monotonously into one another.
One night
at the end of her first week, after dinner, during which they both only picked
at their food until they finally gave up and carried their plates to the
kitchen and scraped the leftovers into the bin, she suddenly notices that her
father is getting thin. Too thin, she notes with concern. She herself is tall
and lean. Since taking up Zen she has felt herself growing lighter as if she is
hollow, and when sitting has to fight the absurd feeling that she will float
off somewhere. There was a time too when she would sit on her cushions and weep
uncontrollably. She knows that this is only one of many stages to be passed
through on the road to enlightenment.
In her
other life, as a translator, she has had quite a successful year. One of the
books she translated—a short novel by a young and edgy Quebec writer—has even
won a prize. She did not attend the presentation ceremony and the award was
mailed to her. Initially she placed the framed certificate on a shelf, then
after a week put it into a drawer out of sight. She has not told her father
about it. He would probably be pleased, but she does not know how to tell him
without making it seem as if she is in some way still seeking his approval.
Tonight
they are both sitting in the living room. The overhead light has not been
turned on and they are each in their own respective pools of light from the
unmatched lamps. The rain has eased. They are bent over their books in silence,
when suddenly her father speaks. It is so startling that at first she wonders
if he actually is speaking to her or if he is merely reading aloud something
that has struck him.
"How
is your life these days?" he asks her. "Is everything alright?"
She can't see his face, which is in shadow.
Her life
is the same as always, her work, her meditation, or perhaps the priorities are
now reversed. Her friends too have changed, older acquaintances being replaced
by those sitting beside her in the meditation hall, every particle of their
being focused on gaining some small understanding. How can she explain this to
her father?
"Well
enough," she replies, "No complaints."
She
thinks of a window in her apartment back in the city that had been painted shut
and which was difficult to open. It had been years in fact that she had simply
let it be, until last summer, the heat was so unbearable, that she had
determined at all costs to have it raised. At first it seemed to be permanently
lodged, until with continued shoving and heaving it finally began to move. So
it seems now with her father, his effort to speak when for years they have
scarcely discussed anything other than the most superficial aspects of their
lives.
"You
are becoming too much alone," he goes on, surprising her, because her
father has always seemed to be happy enough by himself, has never seemed to
need the company of others. "You're still young. Have you never thought of
getting married again?" Now that he has begun, he seems unable to stop and
barrels forward. "You and Roger were both too young when you married,
Martine. It was bound not to work. I don't like to think of you alone."
Surely
it is her place as only child to worry about him, an aging parent living on his
own in the country. She does not know why he is saying these things. It is not
like him at all. That he has mentioned her ex-husband Roger is also
astonishing. She hardly ever thinks about him anymore. She knows he has gone on
to become a successful lawyer, remarried and has several children. Their own
brief marriage had been passionate and intense and had simply, and perhaps
inevitably, burned itself out. The several unsatisfying relationships that
followed had the effect of sending her deeper into her work, which she has
never regretted, even if now translating has been overshadowed by her interest
in Zen. In any case, surely her father must know that his days of expecting
grandchildren are past, that she is too old, too set in her solitary ways.
"I'm
sorry if I wasn't there when you were growing up," her father resumes, now
clearly like a swimmer out of his depth, frantically grasping for something to
hold onto. "When your mother died I didn't know what to do. I relied on
others, perhaps too much. I felt the terrible loss of your mother, but you were
a blessing, Martine. I want you to be happy."
Never in
all their years together has her father spoken like this. There was a time
perhaps when she needed more than anything to hear these words, when they might
even have altered the course of her life. But now they seem misplaced and oddly
perplexing. She knows that her mother dying when Martine was born is no one's
fault, that it was the flow of life, something outside their own choices. It
has taken her years of meditation to accept this. Martine decides to attribute
her father's outburst to the effects of too many days of rain. It has put him
in a strange, overly sentimental mood. Still, she senses he needs something
from her.
"I'm
happy with my life," she says at last, unwilling to venture into uncertain
and unexplored terrain. She listens to the sound of her own voice, wondering if
the words ring true.
And then
the window, which has somehow been opened after all these years once again
falls shut. Her father lapses into silence. The pools of light around them
enclose them in their separate compartments and she has to convince herself
that the conversation actually happened. After a few minutes she gets up to go
into the kitchen, busies herself there for awhile putting away the dishes. When
she returns her father has already switched off his light and gone to his room.
The next
morning the rain has stopped and by noon the sky has begun to clear and the sun
comes out, bright and blazing. Wearing a pair of her father's old rubber boots,
too big for her but a necessity on a day like this, Martine walks down the
three front steps of the cabin and stands on the sodden earth. The air is
fragrant with the scent of moss and leaves and she breathes it in hungrily. She
walks down to the lake and looks around as if she can't believe this sense of
freedom to walk outside. Avoiding the deep, oozing patches of mud and large
puddles, she heads to the tract of forest, which begins on the other side of
the small wooden bridge to the right of the cabin. She doesn't go far, but
stands for a long time beneath the still dripping pines and feels the tension
slowly leave her body. For the first time since she has come to the country
this year, she begins to relax. When she returns to the cabin, she feels
refreshed, greets her father with a smile and sits on the top step to wait for
the neighbour, Rejean.
Athough
he has called to say he is coming, it is already past three and Martine begins
to think that he is not coming at all. Not that they need the supplies that he
is bringing or the mail, but she wants to see another face, needs some
connection with a world outside their own too small and isolated one. She has
known Rejean for years, a rather half-hearted farmer, who Martine suspects
makes more money helping out her father and plowing the roads in winter, than
he ever has from farming. At last, she glimpses his red truck flickering among
the trees. She walks down the path to the clearing to meet him. Slowly his
truck descends the steep incline and then follows the narrow, rutted road along
the curve of the lake. He waves when he sees her.
She
smiles as he gets out of the truck, but he returns only a pale version of her
own. "I didn't know if you would come," she says, all of a sudden not
knowing what else to say.
"You
and your father need anything, you only need to pick up the phone and call me.
You know that," he replies, almost defensively, as if she has criticized
him.
"My
father's lucky to have you as a neighbour," she says quickly. "No one
could have done more than you have." She would like to say more, how he
has made it possible for her father to continue living here, and how for her,
when she's back in the city, she can feel secure that there is someone to check
in on her father, to look out for him.
But
Rejean seems moody, turns quickly away to retrieve the bags from the truck. She
knows that he has personal problems, this man who was still young when she
first met him and one time used to flirt with her. Today he gives no evidence
of his usual joviality, and they walk without speaking to the cabin. The long
stretch of rain, she thinks, has taken its toll on him too.
The days
that follow are hot and sunny. The ground dries out and she walks through
grasses that have grown waist high and thick. The mosquitoes and flies are
worse than usual. To try to escape them she takes out the canoe, pulls it down
the narrow sandy shore into the water. The canoe glides easily across the
water, which is almost completely still. There is just her own small wake as
she makes her way across the water. She paddles lightly, only enough to nudge
the canoe along and not cause too much disturbance. In a way it parallels her
life in the city. Alone in her large, nearly empty apartment, she lives a
simple life, trying not to create disturbance, trying not to do harm in her
passage through the world. She feels this is what her life is about, learning
how to accomplish this.
She
heads for the rock directly across the water from the cabin. It is a huge
squarish mass of granite. Years ago, before her father owned the property,
someone had built a rough wooden stairs that led to the top about 40 feet up.
She guides the canoe to the shore, hops out into the shallow water and pulls
the boat onto the pebbly beach. The stairs is old and rickety. She takes a few
tentative steps to test if it is still solid, then begins to climb.
Once on
top of the stone she can view the whole of her father's property, the two small
connecting lakes, the marshes beyond, the curve of the wooded hillside. She can
also look back at the cabin, where she now sees her father come out the front
door and head for his chair on the deck. She notices that he does not look
around for her, which both pleases and disappoints her. The giant slab of rock
on which she sits feels warm beneath her, its great dark bulk a familiar
element of her childhood. This is the rock to which she has come on many
occasions, not for anything other than to feel its solidity, immovability.
Lodged in her memory from her years in a French convent school, she cannot help
but recall the potent Christian symbolism it represents. Yet she has left that
behind long ago, the faith of her ancestors. Like the mother she has never
known.
She
tries to imagine her father at the beginning alone with her. For a man not even
then so young and so accustomed to his rocks and inanimate world, how had he
managed to adjust on his own to the demands of a newborn, needy, crying?
Martine remembers the long series of people, always turning up at the necessary
time, looking after her during her early years and when her father was away for
his work. After that had come the refuge of boarding schools and university.
Somehow they had managed, her father and her.
Martine
glances across the lake again and notices her father going back inside. Above
her she sees as well the first dark cloud. It was too much to expect, she
supposes, that the rain would not come back. She was too ready to believe that
all would be well and untroubled. Like the clouds that imperceptibly yet surely
are racing across the sky, changing the light and her own mood, she begins to
let her thoughts wander, lets them form their own patterns. And it comes to
her, only now, here, high on this stone, that things are not well. Her father's
thinness, his unexpected comments, the way in which Rejean was not able to meet
her eye. Yes, it is becoming obvious to her now, so obvious that she can't
believe that she has been so blind. How could she not have known? Is she so
wrapped up in herself that she cannot see what is clearly right in front of
her—that her own father is ill. The knowledge, the sureness of this intuition,
spreads through her. Already she knows, as if it were a fact, that there will
not be another year, that her father will not be here next summer.
For a
moment her world threatens to disintegrate, but she is here on this rock, this
immense piece of stone, that will not give way, will not register so much as
the slightest shock at this revelation. Her mind races ahead, trying to grapple
with what is to come. But then, intruding on her thoughts, is her sudden
awareness of the trees behind her on the slope. The wind is blowing and they
have begun to rustle and sway. The sky is growing darker, the clouds more
threatening.
She must
go down now, before the storm comes. The old wooden staircase shakes alarmingly
as she descends. Once on the ground, she hurries to the canoe and pushes it
into the water. On her trip back across the lake, she is not frightened by the
rough waves. She is experienced, has crossed the lake many times in worse
weather, but it takes all her effort to paddle the canoe. How slow her own
progress now, how small her own wake seems, swallowed up in the larger waves of
the lake.
*First appeared in Carte Blanche 7, the literary review of the Quebec Writers’
Federation.
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Angela
Leuck is a short fiction writer and a haiku poet whose work has been
published in journals around the world. She is the author of haiku white and haiku
noir (carve, 2007) and Flower Heart (Blue Ginkgo Press, 2006)
and has edited numerous poetry anthologies, including Rose Haiku for Flower
Lovers and Gardeners (Price-Patterson, 2005), Tulip Haiku
(Shoreline, 2004), and, with Maxianne Berger, Sun Through the Blinds:
Montreal Haiku Today (Shoreline, 2003). She is the current Quebec Rep for
the League of Canadian Poets.