Licia Canton
/ Joseph A. Farina
LICIA CANTON
Licia Canton, nata a
Cavarzere (Venezia), è arrivata a Montreal nel 1967. Ha studiato all'Università
McGill (BA, MA), poi ha completato un dottorato di ricerca (PhD) in letteratura
canadese all'Université de Montréal. Da oltre dieci anni si occupa di
letteratura delle minoranze canadesi ed in particolare di quella
italo-canadese. È stata relatrice a numerose conferenze e ha pubblicato vari
articoli, oltre ad aver curato cinque libri: The Dynamics of Cultural
Exchange: Creative and Critical Works (2002) , Adjacencies: Canadian Minority Writing (con D. Beneventi & L.
Moyes) (2004), Writing Beyond History (con De Santis & Fazio)
(2006), and Rebus: Artists and Poets in
Correspondence (con Anna Carlevaris). Sono di prossima pubblicazione, Antonio D'Alfonso: Essays on His Works,
e The Butcher’s Daughter, una raccolta di racconti. Dal 1998
al 2002 è stata parte dell'esecutivo dell'Associazione Scrittori/Scrittrici
Italo-Canadesi, prima come responsabile del Bollettino e poi come
vicepresidente. Licia Canton è anche direttrice della nuova rivista nazionale
in lingua inglese, “ACCENTI: The Canadian Magazine with an Italian Accent.” See:
www.accenti.ca.*
Licia Canton, is a writer, editor, and critic. She holds a Ph.D. in
Canadian literature (with a specialization in Italian-Canadian writing) from Université
de Montréal. She has published The Dynamics of Cultural Exchange: Creative
and Critical Works (2002), Adjacencies:
Canadian Minority Writing (with D. Beneventi & L. Moyes) (2004),
Writing Beyond History (with De Santis & Fazio) (2006), and Rebus: Artists and Poets in Correspondence
(with Anna Carlevaris). Forthcoming
publications include Antonio D'Alfonso:
Essays on His Works, and The Butcher’s Daughter, a collection of storie. She has served on
the executive of the Association of Italian-Canadian Writers as newsletter
editor and vice-president (1998-2002). Licia Canton is also editor-in-chief of Accenti, the Canadian Magazine with an
Italian Accent (www.accenti.ca ).*
Almond Wine and Fertility*
( segue sotto la versione italiana del testo
)
T |
he excursion to
The
afternoon was cloudy and wet. We walked around
while the rain subsided. When it began
raining again, we sought refuge in Bar Turrisi at Piazza Pio IX. Bar Turrisi
inhabits four floors of a tall narrow building which dates back to 1812.
The
first floor was dark and sombre, filled with people. We took the steep, tiny staircase to the
second floor. There was no one there.
The tables at the back were cluttered with some big objects. We sat on the small covered terrace which
looked down on the empty wet piazza, with
There
were only two tiny round tables on the terrace.
‘This
is the perfect spot,’ I said.
I
turned slightly to look around at the inside. It was dark and gloomy.
‘What’s
that on the table . . . at the back?’ I asked my husband.
‘That
. . . That looks like . . .’
I got
up and took a few steps towards the back to get a closer look.
‘It’s
a . . .’ I muttered.
‘Yes,
that’s what I thought it was.’
I was
glad we hadn’t chosen the table in the dark corner.
‘Who
would want to sit there?’ I asked.
As I
looked around more closely I saw that erotic statues and sculptures were in
every corner, some even on the larger tables. A newspaper article which was
framed on the wall caught my attention. I walked over to read it.
‘It
seems that the decor is a commemoration to the male sexual organ,‘ I said as I
sat down again.
‘It’s
called a penis,’ my husband said with an amused expression.
‘I
was quoting the article,’ I specified.
‘Does
it make you feel uncomfortable?’ he asked.
‘Well,
I wouldn’t sit there.’ I answered.
People
began streaming onto the second floor, choosing between lava-stone and
chestnut-wood tables. A group of young people sat at the table with the
oversized wooden penis. The waiter came to take our order. He brought us complimentary glasses of a
golden drink.
‘It’s
Vino alla Mandorla,’ he said, ‘The elixir of love and fertility.’
We
had never tasted anything like it. It was deliciously sweet and velvety.
As we
savoured the almond wine, we talked about the two children we had left behind
in
‘What
do you think they’re doing right now?’ I asked.
‘I don’t know, but
I’m sure they’re very happy with their grandmothers. ‘Are you worried about them?’ he asked.
‘No,
not at all.’ I said smiling.
It
was the first time we’d left the children behind for longer than a weekend.
‘Well,
maybe just a little . . . But I’m really
enjoying being alone with you!’ I said.
‘Me,
too!’ he smiled taking my hand.
We
were oblivious to the others in the bar, which was crowded now. It was like being on our first date again. We
had known each other for years, but we were taking the time to rediscover one
another. We weren’t in a bar in
‘Would
you like to have another . . .?’ The waiter’s question startled us, bringing us
back from our reverie.
‘So
how about it?’ he asked, when the waiter had moved away.
‘How
about what?’ I asked. I had an idea of what he was referring to.
‘Would
you like to have another . . .?’ He looked at me playfully but with an intent
look which I knew well.
‘I’m
not sure.’ I answered truthfully. ‘I’m
just starting to feel like I can catch my breath. Your life wouldn’t change much, but mine
would.’
I
didn’t need to go on. He had heard it
before.
‘We
don’t need to decide now.’ He said gently.
We
drove back tired and wet along the road which coasted the beach. The sun was setting as the ferry left
Two
years later, we count the days to the arrival of our third child, the child we
talked about in Bar Turrisi as we sipped almond wine . . . amid symbols of
fertility.
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Vino alla mandorla e fertilità*
(versione italiana copyright © 2006 Licia Canton)
L |
a gita in Sicilia non era stata prevista. Avevamo
pranzato tardi a Taormina, poi avevamo preso la strada serpeggiante per
Castelmola, un paesino pittoresco sul Monte Tauro.
Era un pomeriggio nuvoloso,
piovoso. Quando la pioggia si calmò
decidemmo di fare una passeggiata in paese, ma quando riprese trovammo riparo nel Bar Turrisi in
Piazza Pio IX, un bar su quattro piani di un edificio alto e stretto che
risaliva al 1812.
Al primo piano c’era tanta gente in un
ambiente buio. Salendo la scaletta sul fondo arrivammo al secondo piano: non c’era nessuno. I tavolini in fondo erano
disordinati, pieni di grandi oggetti. Ci
sedemmo su un terrazzino coperto da cui si vedeva la piazzetta bagnata di
pioggia, Taormina, e il mare sullo sfondo.
Sul terrazzino c’erano soltanto due
tavolini rotondi.
‘Questo è il posto ideale,’ dissi.
Mi girai un po’ per guardarmi intorno:
tutto era buio e deprimente.
‘Cosa c’è sul quel tavolino . . . là
dietro?’ chiesi a mio marito.
‘Quello . . . sembra un . . .’
Mi alzai, dirigendomi verso il fondo della
stanza per vedere meglio.
‘È un . . .’ borbottai.
‘Sì, è quello che vedo anch’io.’
Ero felice di non aver scelto il tavolo
nell’ angolo buio.
‘Ma chi si siederebbe là?’ chiesi.
Guardando attentamente, ora vedevo
statue e sculture erotiche in ogni angolo, alcune anche sui tavoli più grandi.
C’era un articolo di giornale incorniciato, appeso alla parete. Mi alzai per
leggerlo.
‘Sembra che tutto quello che adorna la
stanza sia una esaltazione dell’ organo sessuale maschile,‘ dissi sedendomi.
‘Si dice pene,’ rise mio marito.
‘Stavo citando l’articolo’, precisai.
‘Ti mette a disagio?’ chiese lui.
‘Certo non mi siederei là,’ risposi.
A poco a poco la stanza si riempì di gente che si sedeva a tavolini di
pietra lavica o di legno di castagno. Un gruppo di giovani si sistemò a quello
con l’enorme pene di legno.
Un cameriere venne a chiederci cosa volevamo ordinare, e
ci offrì in omaggio due bicchierini di
un liquore color oro.
‘Questo è il nostro vino alla mandorla,’
disse, ‘Un elisir d’amore e di fertilità.’
Non avevamo mai assaggiato niente di
simile, così dolce e vellutato, delizioso.
Mentre sorseggiavamo il vino alla
mandorla, parlavamo dei due bimbi rimasti a Montreal.
‘Cosa pensi che stiano facendo?’ chiesi.
‘Non so, ma sono felici con le nonne. Sei
preoccupata?’
‘Affatto,’ sorrisi.
Era la prima volta: non avevamo mai
lasciato i bimbi per più di un fine settimana.
‘… beh … forse un po’ . . . Ma mi piace stare con te . . . da soli!’
dissi.
‘Anch’io!’, sorrise prendendomi una
mano.
Non vedevamo più nessuno nel bar ormai
pieno di gente. Era come fosse il nostro
primo incontro. Erano anni che ci conoscevamo, ma questo era il momento per
riscoprirci. Non eravamo più in un bar in Sicilia, ma in un tempo e uno spazio
tutto nostro.
‘Ve ne piacerebbe un altro . . .?’ La domanda
del cameriere ci fece trasalire:
tornavamo da un altro universo.
‘Allora cosa ne dici?’ mi chiese mio
marito, quando il cameriere si fu allontanato.
‘Che cosa?’ Feci finta di non capire.
‘Te ne piacerebbe un altro . . .?’. La voce
era scherzosa, ma conoscevo bene lo sguardo intento.
‘Non so,’ risposi con sincerità. ‘Ora mi sembra di respirare un po’. Per te non cambierebbe molto, invece per me
sì.’
Non c’era bisogno di dire altro; non era niente di nuovo.
‘Non dobbiamo decidere subito,’ disse
con gentilezza.
Eravamo stanchi e bagnati al ritorno,
sulla strada che costeggiava il mare. Il sole tramontava mentre il traghetto si
allontanava da Messina. Non dormimmo molto quella notte: nelle prime ore del
mattino eravamo già seduti nell’ aereo in partenza da Reggio Calabria. Il sole
sorgeva, ma noi non avremmo preso parte a quel nuovo giorno.
Sono passati due anni. Aspettiamo la
nascita del terzo bimbo, quello di cui parlavamo nel Bar Turrisi mentre
sorseggiavamo il vino alla mandorla . . . tra i simboli di fertilità.
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JOSEPH A. FARINA
Joseph
Anthony Farina was born in Sto.
Joseph Anthony Farina è nato a Santo Stefano di Camastra in Sicilia, Italia,
ed immigrò in Canada coi genitori nel 1951. Si è laureato in giurisprudenza
nella sua nuova patria di Sarnia in Ontario. Le sue poesie sono apparse in Other
Voices, Greene’s Magazine, Alberta Poetry Yearbook, e nel bollettino
dell’Association of Italian Canadian Writers. Ha vinto il secondo premio del
concorso del Sarnia Observer “My Hometown” col suo saggio “My New Home
Town.” La serie di poesie interconnesse dal titolo The Cancer Chronicles è
stata pubblicata da Serengeti Press, 2006.**
Benerica / My New
Hometown**
(
segue la traduzione di Egidio Marchese )
Benerica ***
without your touch
harvest taken
tools in place
forever
and spring shall not see you
sweat-salted smiling
among your fresh furrows…
this garden fails
without your skill
learned in hills
of olive groves
washed
in ancient light
fragrant with citrus
and distant shores too far to dream…
we cannot hope to
stir this soil
blessed by you
for seasons past
unlearned by us
your craft goes with you
this garden grows
with weeds and sorrow
sad epitaph
among the furrows
tools untouched
with only memory
of your smiling
through the greening…
_________________________________
quest’orto ingrigisce
senza la
tua mano
compiuto il raccolto
gli attrezzi riposti
per
sempre
e
non ti vedrà più la primavera
sorridere col sudore salato
tra i freschi solchi...
quest’orto muore
senza la tua perizia
appresa nelle colline
degli uliveti
inondate
di
luce antica
fragranti
di agrumi
e lontane spiagge troppo remote da sognare...
non possiamo sperare
di rompere questo suolo
da
te benedetto
nelle passate stagioni
da noi
negletta
la
tua abilità sparisce con te
quest’orto
cresce
con
erbacce e dolore
triste
epitaffio
tra
i solchi
gli
attrezzi lasciati
con
la sola memoria
del
tuo sorriso
tra
la vegetazione...
(segue
la versione italiana del testo)
T |
he stories were
told in the cold of December, to remind us of the place where we had come from.
The
My mother spoke this
We lived on
One day, my mother with
A&P grocery bags folded under one arm took me in hand and we walked down to
Before going home, my mother and I stopped at the nearby
___________________________________________________________________________________
(traduzione di Egidio Marchese)
N |
el freddo dicembre si raccontavano storie, per
ricordarci del posto da cui eravamo venuti. L’isola della Sicilia, nel mare
Mediterraneo, baciata dal sole e fragrante di ulivi e agrumi; storie di sogno
per mantenere un legane col passato, ora che eravamo in questa nuova città,
scelta da mio padre, per cominciare da capo.
Mia madre pronunciava il nuovo nome
della città con naturalezza, Sarnia. Dev’essere italiano, disse, non è duro
alla lingua come le altre nuove parole. Nelle storie che si raccontavano, la
nostra isola e il nostro paese natale sulla riviera del Mediterraneo sembravano
troppo belli per essere abbandonati e ho chiesto a mia madre perché il babbo
fosse partito per venire in questa fredda terra. Guardando mio padre lei
rispose: “Perché qui c’è lavoro e col lavoro vengono le opportunità.” Nella
nostra isola non c’erano né lavoro né opportunità. Questa città ci offriva
prosperità al di là dei sogni della nostra antica isola.
Abitavamo a Water Street in un
appartamento di due stanze con l’acqua fredda, senza un gabinetto privato. Il
solo riscaldamento veniva dal forno della nostra cucina troppo piccola.
Comunque, eravamo vicino al posto di lavoro di mio padre alla Holmes Foundry.
La prosperità era giù sulla strada, avrebbe detto mia madre.
Un giorno, mia madre con una busta di
plastica del supermercato A&P sotto il braccio, mi prese per mano e
camminammo giù per Front Street. Seguivamo i binari della ferrovia attraverso
il terreno di Sifto Salt, verso i Grain Elevators [Ascensori del Grano] ai
Government Docks [al molo]. La festa di Santa Lucia era prossima e mia madre
aveva bisogno in cucina di un essenziale ingrediente che non poteva trovare in
nessuno dei negozi che conosceva. Mia madre sapeva che questo ingrediente - il
grano integrale - poteva trovarsi presso i binari della ferrovia, caduto dai
vagoni che andavano ai Grain Elevators. Lì, insieme ai piccioni e ai gabbiani,
mia madre ed io abbiamo raccattato diverse libbre di grano, che una volta
lavato e bollito sarebbe diventato il budino di Santa Lucia. Solo i ricchi
proprietari terrieri avevano questo festeggiamento nel nostro paese natale, mia
madre mi diceva, e qui in questa città il santo grano era sparso per terra per
chiunque volesse prenderlo.
Prima di tornare a casa, mia madre ed io
ci siamo fermati alla vicina Baia di Sarnia all’orlo dell’acqua e guardavamo a distanza
la città che cresceva e gli stabilimenti Chimici. La Baia non era ancora
gelata, e mentre l’acqua lambiva la riva, ho guardato mia madre che fissava
l’orizzonte e le chiesi se nel nostro paese natio in Sicilia l’acqua fosse come
questa. “No,” mi disse. “Qui l’acqua è pulita e dolce e chiara. Qui i sogni
diventano realtà.”
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Benerica is a Sicilian blessing , greeting to an Elder. / Benerica
è una benedizione siciliana, saluto di rispetto agli anziani.
1 settembre 2006
LETTERATURA CANADESE E ALTRE
CULTURE