Un’investigazione sull’identità e lo spaesamento
Pasquale Verdicchio*
L’identità
di un popolo
si
forma da una memoria comune,
che
deve essere criticata per poter guardare
lucidamente al passato.
Enzo Raimondi
Antonio
D’Alfonso. Canadese, Québecois, Italiano, Guglionesano, Uno, nessuno, centomila.
Antonio
D’Alfonso. Saggista. Cineasta. Poeta. Direttore della casa editrice Guernica Editions.
Nato
a Montreal. Rinato dopo ogni acquisizione e metamorfosi linquistica
e artistica.
Antonio
D’Alfonso. Fabrizio’s Passion. La passione di
Fabrizio. Notte. Fabrizio Notte. Questa è l’identità e l’attività che
circoscrive e descrive il nome Antonio D’Alfonso.
Con
la Guernica Editions, prima
da Montreal e poi da Toronto, D’Alfonso ha partecipato
alle più importanti iniziative culturali in un contesto sociale e linguistico
molto complesso e articolato che, il più delle volte, viene rappresentato
dal binarismo riduttivo del conflitto anglosassone/québecois.
Con
la Guernica Editions,
D’Alfonso ha facilitato la pubblicazione dei testi e la partecipazione al
dialogo degli italiani in Canada (ma anche negli USA) all’interno del
cosiddetto “mosaico culturale.”
Con
i suoi propri scritti – saggi, romanzi, poesie, articoli – e con i dibattiti e
gli incontri Antonio D’Alfonso si è sempre gettato
nella rissa culturale che sul fronte ideologico mantiene le tessere del mosaico
lontane dai centri del potere. Ogni sua attività, ogni suo movimento, ogni sua
pubblicazione e scelta editoriale viene fatta
all’interno di un’ottica esistenziale ed intellettuale che non si rinchiude in
un concetto d’identità normativo e radicato nelle certezze illusorie del
nazionalismo, né canadese, né quebecois, né italiano.
Tutto
ciò potrà forse sembrare in contraddizione con la citazione riportata in testa
a questa prefazione. Se non nella memoria di una nazione, allora in quale
memoria comune si situa il lavoro di Antonio
D’Alfonso? Direi proprio nella memoria di un popolo, locus
ben distinto dalle tendenze e le vicissitudini del nazionalismo; perché la
nazione non è altro che una convenzione, mentre il popolo è sempre una realtà
viva e attiva. Il popolo è la realtà che, partecipe o non della convenzione
nazionalistica, crea, produce, mantiene, muta e tramanda la sua realtà e
sopravvive al di là della realtà nazionale di un
paese.
Cosa
contraddistingue il romanzo di un italiano all’estero dal romanzo scritto in
casa? Data per scontata la distanza geografica, viene a prendere un ruolo di
particolare rilevanza la distanza del tempo della memoria. Ma non si tratta
affatto di ciò che nella forma più immediata si può immaginare, di nostalgia,
anche quando ad essa si dia un valore positivo e
stimolante. Si tratta, piuttosto, di collegarsi all’interno di una amnesia che tocca le sponde del vecchio e del nuovo
ambiente dello scrittore.
Dalla
sponda italiana è raro che parta un’iniziativa come questa che permetta la
traduzione e la pubblicazione di uno scrittore italo-nord
americano. Anche tra gli italianisti, sia in America che in Italia, sembra che
regni una strana riluttanza nel riconoscere la validità di una scrittura o
letteratura dell’emigrazione o della post-migrazione,
scritta da coloro che ne hanno subito lo shock o dalle loro generazioni successive.
Infatti la letteratura dell’emigrazione riconosciuta
dagli italianisti sembra comprendere soltanto testi scritti in italiano, tra i
quali L’Oceano di De Amicis, alcune cose di Sciascia, altre di Messina, e forse qualche riga di Pavese
de La luna e i falò. Così almeno darebbero a pensare
un numero speciale del Forum italicum
di qualche anno fu sulla scrittura dell’emigrazione, e gli atti del
convegno del 1991 di Jean-Jacques Marchand,
La letteratura dell’emigrazione. Ma la realtà
culturale e linguistica degli italiani all’estero è qualcosa di ben altro. E’
una realtà che si afferma in varie lingue e dialetti, tra i quali ovviamente si
trova anche l’italiano. Trascurare questa realtà vuol dire trascurare le basi e
le ragioni delle lotte di sopravvivenza che impegnino
chiunque si trovi trapiantato in una lingua e cultura estranea.
Il
romanzo di Antonio D’Alfonso qui tradotto affonda le
dita nella piaga del nazionalismo. Ovviamente, i fili narrativi che si intrecciano nel romanzo sono legati al senso esistenziale
che l’autore vuole rappresentare. Ma non è solo
questo. Il romanzo stesso si discredita come bildungsroman.
La traiettoria narrativa non è assolutamente lineare, come non è assolutamente
individuale lo spirito che la guida: “c’è un io che
non è più un io ma loro”. E quasi subito dopo
Fabrizio, il protagonista del romanzo, ci dichiara che “una nazione non si
limita ai suoi confini geografici”. La Passione di Fabrizio è un
suggerimento, un sottile accenno alle strutture che ci guidano, a volte ci imprigionano, e sempre ci riflettono. Sono le strutture
della cultura e della tradizione, il luogo della formazione e della
deformazione dell’identità di un popolo. La scelta di Antonio D’Alfonso è di narrare la storia della famiglia
Notte, una tra le tante storie del dopoguerra italiano e dell’emigrazione, che
dalla specifica condizione di una famiglia contadina e meridionale scivola
nelle profondità di questioni di grande rilievo per la sopravvivenza dei popoli
e per la loro lotta con le nazioni di appartenenza.
Dalla
prima all’ultima pagina, tra sesso e orgasmi, lasagne e vino, tra discorsi
filosofici e progetti cinematografici e amori difficili, tra amicizie e
famiglia, sogni ed incubi, tornano in continuazione il discorso e la
preoccupazione per la scelta linguistica e culturale. Cos’è la cultura? Cos’è
una cultura? Cos’è l’identità di un popolo o di un individuo di fronte al
rifiuto di un’identità linguistica fondata e retta dal
nazionalismo? E spesso l’interrogatorio si svolge nel
gioco tra sesso e linguaggio. La loro equivalenza è la dichiarazione di
un’indipendenza della vita dalle imposizioni astratte e ambigue dell’evocazione
della nazione. La nazione è l’aborto della cultura e la negazione di un popolo.
Fabrizio determina la necessità e l’importanza della famiglia come sistema
aperto di significazione, come dialogo plurilinguistico e dislessico, come
volontà di voler occupare e abitare la torre di Babele.
La
passione di Fabrizio rappresenta un
atto di storicizzazione ed una posizione politica contro-corrente. La negazione
della lingua del potere come mezzo espressivo e comunicativo si esprime con
l’adozione - e per questo la continua negazione – di altri
linguaggi.
Infine
è l’ibridazione che regge l’attività creativa e l’attività culturale
dell’immigrato, di quest’essere ibrido per antonomasia (italiano, francese, guglionesano, inglese, cinema, scrittura, corpo, sesso,
segno e sogno). All’interno del romanzo, regna la concettualizzazione di un
film che rappresenta la storia familiare, un’investigazione sull’identità e lo
spaesamento.
D’Alfonso
traduce tutto ciò in una rappresentazione del corpo come oggetto estraneo,
altro da sé. La Storia è iscritta nel corpo del protagonista e trova come
espressione finale il silenzio. Il testo che ci raggiunge è il prodotto del
rigurgito dei materiali digeriti e alterati dallo scrittore nel corso delle sue
esperienze. D’Alfonso, sempre attento alle distanze, sceglie di rappresentare
vari aspetti del suo corpo scrivendo in linguaggi distanti dai linguaggi nei
quali svolge la sua critica culturale: “Tienes una
cara de campesino” segnala l’impossibilità di cancellare
la storia attraverso il linguaggio.
La
passione di Fabrizio, in definitiva,
propone la vitalità esistenziale e culturale che sgorga da un pensiero aperto
sull’intero giro dell’orizzonte. L’ibrido, il
multiculturalismo che vive dentro ogni individuo, il plurilinguismo, il
dialetto che s’intreccia con la lingua nazionale, la lingua estranea che si
parla nel rifugio della famiglia, sono tutte rifrazioni che contengono un
segnale di futuro. Sono possibilità per la nostra stessa esistenza,
immagini di coloro che sono il nostro profondo ed
ineliminabile complemento: le persone di origine italiana – milioni e milioni –
che vivono all’estero. Un forte richiamo a non limitarsi ai
confini geografici nel definire la cultura e l’identità italiana.
* * * * * * *
*Pasquale Verdicchio, partenopeo, è emigrato in Canada (Vancouver) con la famiglia a
quindici anni. Dal 1986 è docente di letteratura presso la University
of California di San Diego. È stato in passato presidente dell’Association of Italian Canadian Writers. Si occupa di
letteratura e cinema italiano e della cultura dell’emigrazione. Sull’ultimo
tema ha pubblicato Bound by Distance: Rethinking Nationalism through the
Italian Diaspora (1996) e Devils in
Ha tradotto in lingua inglese le opere di Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini, Antonio Porta e Alda Merini. Il suo ultimo volume
di poesie, pubblicato dalla Guernica Editions, è The House is Past (1978-1998)
Un’investigazione sull’identità e lo spaesamento qui riprodotta è la Prefazione al romanzo di Antonio D’Alfonso: La passione di Fabrizio,
traduzione di Antonello Lombardi, Cosmo Iannone
Editore, Isernia, 2002.
LETTERATURA CANADESE E ALTRE CULTURE